ESERCIZIO FISICO E SINDROME METABOLICA, UNA OVERVIEW ALTAMENTE PROFESSIONALIZZANTE CHE IL LAUREATO IN SCIENZE MOTORIE DOVREBBE SAPERE

Data:

10/03/2021

Indice degli argomenti

La sindrome metabolica è un raggruppamento di obesità, diabete, iperlipidemia ed ipertensione arteriosa che si verifica con una frequenza crescente nella popolazione globale odierna.

Sebbene vi siano alcune controversie su i suoi criteri diagnostici, ad oggi, le best practice per combatterla sono orientate verso la pratica continua di esercizio fisico controllato ed ad personam.

Inoltre, lo stress ossidativo, definito come squilibrio tra la produzione e l’inattivazione di specie reattive dell’ossigeno, ha un ruolo fisiopatologico importante in tutte le componenti di questa patologia.

Lo stress ossidativo e la conseguente infiammazione inducono la resistenza all’insulina che, probabilmente, collega i vari componenti di questa malattia.

Rivediamo brevemente il ruolo dello stress ossidativo come componente principale della sindrome metabolica e, poi, discutiamo l’impatto dell’esercizio su questi percorsi fisiopatologici.

In aggiunta, vedremo l’effetto dell’esercizio fisico nel ridurre l’infiammazione indotta dai grassi e come agisce sulla pressione sanguigna.

LA SINDROME METABOLICA

La sindrome metabolica (SM) descrive una costellazione di ipertensione, diabete e dislipidemia causata dall’obesità addominale ed è stata anche variamente chiamata sindrome X, sindrome da insulino-resistenza e quartetto mortale.

I criteri diagnostici per la SM sono stati stabiliti da diverse organizzazioni con lievi variazioni in questi criteri (Tabella 1).

L’aumento globale della prevalenza della SM, dilagante sia nei paesi industrializzati che in quelli in via di sviluppo, è associato a un aumento dell’obesità. Ad esempio, in uno studio su 12363 uomini e donne statunitensi che utilizzavano le linee guida del gruppo di trattamento per adulti III del National Cholesterol Education Program, la SM è stata diagnosticata rispettivamente nel 22,8% e nel 22,6% degli uomini e delle donne.

Questa sindrome era presente rispettivamente nel 4,6%, 22,4% e 59% degli uomini di peso normale, sovrappeso ed obesi e, una distribuzione simile, è stata osservata nelle donne.

Un altro dato interessante è che l’indice di massa corporea (BMI) più alto, fumo corrente, reddito familiare basso, assunzione elevata di carboidrati e inattività fisica sono stati associati a maggiori probabilità di sviluppare la SM.

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La SM può essere presente in diverse forme, a seconda della combinazione dei diversi componenti della sindrome, ed è ben noto che aumenta il rischio di sviluppo di malattie cardiovascolari, diabete di tipo II e cancro.

Non è ancora noto come la SM sia innescata o come i diversi componenti siano collegati causalmente, ma la resistenza all’insulina è fortemente sospettata come un legame fisiopatologico comune, poiché è chiaro che esiste una correlazione positiva tra peso corporeo e insulino-resistenza e il rischio di sviluppare tutte le anomalie metaboliche associate all’insulino-resistenza.

Tuttavia, dati recenti suggeriscono che la SM e l’obesità non si verificano sempre in concordanza, poiché vi sono prove di condizioni di obesità benigna. Ad esempio, alcuni studi suggeriscono che l’obesità sincera non si traduce necessariamente in resistenza all’insulina e aumento del rischio di comorbidità metaboliche. In uno studio trasversale su 5440 partecipanti al National Health and Nutrition Examination Surveys 1999-2004, il 31,7% degli adulti obesi (BMI ≥ 30) era metabolicamente sano.

Oltre questo, la sindrome metabolica è definita come un gruppo di fattori di rischio cardio-metabolico tra cui circonferenza della vita elevata (vita), trigliceridi elevati, pressione alta, resistenza all’insulina e lipoproteine ​​ad alta densità ridotte (HDL).

È sempre accompagnata da un’infiammazione cronica sistemica di basso grado, caratterizzata da un aumento da 2 a 4 volte i livelli circolanti di citochine infiammatorie. L’infiammazione di basso grado, invece, prevede il rischio di mortalità nelle popolazioni di mezza età ed anziane.

L’infiammazione cronica è un fattore centrale ed un legame molecolare tra i componenti della sindrome metabolica e la CVD, promuovono l’aterosclerosi. Inoltre, l’infiammazione cronica collega la sindrome metabolica al Diabete di tipo 2, poiché le vie pro-infiammatorie inducono insulino-resistenza.

La maggior parte degli studi epidemiologici si concentra sulla proteina C-reattiva (CRP) e sull’interleuchina (IL-6) come biomarcatori dell’infiammazione cronica, tuttavia, IL-6 e CRP sono probabilmente biomarkers surrogati del fattore di necrosi tumorale alfa (TNF-α) ed attività mediate da IL-1.

Tornando a noi, in generale, l’obesità sana descrive la mancanza di qualsiasi disturbo metabolico tra cui diabete di tipo II, dislipidemia e ipertensione in un individuo obeso. Ad oggi, non esiste uno studio prospettico del fenotipo obeso sano e ci sono una miriade di domande che possono essere affrontate studiando questo sottotipo di obesità.

Tra queste ci sono le seguenti domande:

I soggetti obesi sani rappresentano un’insorgenza ritardata dell’insulino-resistenza correlata all’obesità o è una condizione permanente? Quali sono i fattori causali che guidano la transizione tra fenotipi obesi sani e malsani?

Ciò che è noto con una certa chiarezza è che la distribuzione del grasso androide, l’accumulo di grasso viscerale ed ectopico e la resistenza all’insulina sono fattori critici e potenziali parametri causali per lo sviluppo di obesità malsana.

L’associazione tra sindrome metabolica ed infiammazione è ben documentata. Nel tentativo di chiarire la relazione tra adiposità e infiammazione, Welsh et al. ha utilizzato un approccio di randomizzazione mendeliana bidirezionale e ha dedotto che l’adiposità porta a livelli più elevati di proteina C-reattiva (CRP), senza prove di alcuna inversione di questo percorso.

L’accumulo di prove dimostra uno stretto legame tra la sindrome metabolica, uno stato di infiammazione cronica e lo stress ossidativo. Infatti, la via infiammatoria dello stress ossidativo ha ruoli importanti in tutti i singoli componenti della SM comprese le alterazioni vascolari.

STRESS OSSIDTIVO E GRASSO ECTOPICO

Il grasso ectopico si riferisce all’accumulo di trigliceridi all’interno delle cellule del tessuto non adiposo e, questi tessuti, contengono solo piccole quantità di grasso. Aree viscerali, fegato, cuore e/o muscoli sono siti comuni per la deposizione di grasso ectopico. La quantità di grasso ectopico è direttamente correlata alla resistenza all’insulina, al livello di trigliceridi, alla pressione sanguigna e, in generale, alla sindrome metabolica.

Il ruolo del tessuto adiposo nella secrezione di sostanze metabolicamente attive è noto da tempo e si ritiene, ora, che un equilibrio tra adipochine antiaterosclerotiche (come la leptina e adiponectina), citochine proaterosclerotiche (come l’interleuchina-6 (IL-6), tumore Il fattore di necrosi alfa (TNF- α) e la proteina chemiotattica dei monociti 1 (MCP-1) regolino l’omeostasi metabolica e cardiovascolare, sia nei siti locali che in quelli remoti.

Mazurek et al. ha mostrato proprietà infiammatorie del grasso cardiaco, come esempio di grasso ectopico, da un campionamento accoppiato di tessuto adiposo epicardico e sottocutaneo, prima dell’inizio della chirurgia cardiopolmonare.

Livelli più elevati di IL-1 β , IL-6, MCP-1, TNF- αmRNA e proteine ​​si sono verificati nelle riserve adipose epicardiche, indipendentemente dalle variabili cliniche come il diabete, l’IMC e l’uso di farmaci. I livelli di espressione del gene TNF erano più alti nel tessuto adiposo addominale rispetto al grasso sottocutaneo e, cosa importante, una maggiore espressione del gene TNF si è verificata nei tessuti adiposi.

A livello cellulare, l’attivazione TNF-dipendente delle chinasi legate allo stress inibisce la segnalazione dell’insulina, causando insulino-resistenza cellulare. Alcune di queste chinasi, legate allo stress, promuovono anche un’ulteriore produzione di TNF, perpetuando un meccanismo di feedback positivo per l’attività sostenuta del TNF e la resistenza cronica all’insulina.

D’altra parte, l’obesità del grasso viscerale è associata a concentrazioni ridotte di adipochine insulino-sensibilizzanti e antinfiammatorie, infatti, durante l’attività lipolitica, vengono rilasciati più acidi grassi dal tessuto adiposo viscerale rispetto al tessuto adiposo sottocutaneo.

L’aumento dei livelli di TNF induce l’assorbimento epatico di questi acidi grassi che è accompagnato da una ridotta ossidazione degli acidi grassi e dall’esportazione di trigliceridi. Questi eventi causano l’accumulo di grasso all’interno degli epatociti (steatosi epatica).

Si ritiene che, generalmente, la catena di reazioni che porta alla degenerazione del grasso degli epatociti inizi con livelli aumentati di TNF e resistenza all’insulina, che precedono l’accumulo di grasso. Durante l’insulino-resistenza, la produzione di glucosio epatico non è più sotto regolata dall’insulina, con conseguente aumento della produzione di glucosio epatico e stimolazione di una maggiore secrezione di insulina.

L’iperinsulinemia cronica desensibilizza i tessuti periferici all’insulina e causa la resistenza sistemica all’insulina, provocando tutti i problemi che ben conosciamo.

Ecco perché, la resistenza all’insulina, aumenta la lipolisi degli adipociti che si traduce nel rilascio di grandi quantità di acidi grassi nel sangue e nell’esacerbazione della steatosi epatica e dell’insulino-resistenza.

STRESS OSSIDATIVO E IPERGLICEMIA

L’iperglicemia può indurre stress ossidativo attraverso diversi meccanismi tra cui percorsi non enzimatici, enzimatici e mitocondriali, accelerando così i 4 grandi ed importanti meccanismi molecolari coinvolti nel danno tissutale ossidativo indotto dall’iperglicemia.

Tutti ricorderanno sicuramente che le fonti non enzimatiche di stress ossidativo provengono dalla biochimica ossidativa del glucosio e, l’iperglicemia continua, aumenta direttamente la generazione di ROS (forme reattive dell’ossigeno) poiché il glucosio subisce l’auto-ossidazione per generare radicali liberi.

Inoltre, il glucosio reagisce con le proteine ​​in modo non enzimatico portando allo sviluppo dei prodotti seguito dalla formazione di prodotti finali della glicazione avanzata.

Le fonti enzimatiche della generazione aumentata di ROS nel diabete includono ossido nitrico sintasi (NAS), NAD (P) H ossidasi e xantina ossidasi. Una delle principali fonti di produzione di ossigeno  è la NAD (P) H ossidasi, un enzima associato alla membrana e Guzik et al. hanno studiato livelli di ossigeno in campioni vascolari da pazienti diabetici vedendo che nei pazienti diabetici è prevalentemente formato da NAD (P) H ossidasi.

STRESS OSSIDATIVO E IPERTENSIONE ARTERIOSA

Come ben sappiamo dalla letteratura scientifica, ci sono oggi molte prove che sostengono un importante ruolo centrale del sistema renina angiotensina aldosterone (RAAS) nella coesistenza di obesità, resistenza all’insulina, dislipidemia, ipertensione. In effetti, l’aldosterone ha un ruolo fondamentale nella patogenesi e nella progressione della sindrome metabolica.

Il tessuto adiposo produce un fattore liposolubile che stimola la secrezione di aldosterone che è (insieme ad altri glucocorticoidi), quindi, in grado di potenziare l’adipogenesi e aumentare l’infiltrazione dei macrofagi nei depositi di grasso.

Livelli elevati di aldosterone plasmatico inducono resistenza all’insulina nel grasso, nel muscolo scheletrico, nel fegato e nel tessuto cardiovascolare, indipendentemente da altri componenti RAAS come l’angiotensina II. L’aldosterone induce l’espressione delle adipochine proinfiammatorie e lo stress ossidativo, con conseguente diminuzione dell’espressione del recettore dell’insulina e assorbimento del glucosio indotto dall’insulina.

È normale che ci siano prove che suggeriscono che lo stress ossidativo sia alla guida della produzione di acidi grassi ossidati che stimolano l’aldosterone. Composti come l’acido 12,13-epossi-9-cheto-10 (trans) -octadecenoico, derivati ​​dall’acido linoleico, possono influenzare la produzione di steroidi surrenali e mediare alcuni degli effetti dannosi dell’obesità e dello stress ossidativo.

La riduzione della pressione sanguigna, dell’attività della renina plasmatica e dei livelli di aldosterone, in soggetti obesi ipertesi e normotesi sottoposti a riduzione di peso, fornisce ulteriori prove dell’associazione tra l’eccesso di aldosterone e il tessuto adiposo.

 

ESERCIZIO FISICO E SINDROME METABOLICA

Poca attività fisica quotidiana è associata a conseguenze metaboliche negative come una ridotta sensibilità all’insulina ed un aumento del grasso addominale, peraltro riscontrabile con una valutazione della composizione corporea.

Pertanto, è probabile che una un incremento dell’attività fisica sia la via evolutiva favorita per prevenire lo sviluppo dell’insulino-resistenza, durante molti cambiamenti metabolici.

Secondo Nunn et al, l’infiammazione subclinica cronica, associata alla sindrome metabolica, potrebbe essere una delle conseguenze dell’inattività fisica e dell’induzione di un circolo vizioso.

D’altra parte, in presenza dell’infiammazione, l’attività fisica diventa meno desiderabile e praticabile, sia fisicamente che psicologicamente.

L’esperienza mi porta a dire:

Il “comportamento della malattia indotta dall’infiammazione” è a sostegno di questa teoria.

Molti studi, per esempio, hanno verificato che con una iniezione di lipopolisaccaride (che induce il rilascio di citochine) o l’iniezione diretta di citochine determina una riduzione della fatica nei movimenti e sintomi depressivi.

Al contrario, gli stimoli ormetici, tra cui esercizio, restrizione calorica o assunzione di polifenoli per esempio nella dieta, possono indurre effetti antinfiammatori e migliorare la capacità di esercizio, portando a una migliore forma fisica biologica.

Quantità basse e moderate di ROS, prodotte durante la normale attività muscolare, fanno parte dell’ormesi che descrive le risposte biologiche generalmente favorevoli a basse esposizioni a tossine e altri fattori di stress.

Un inquinante o una tossina che mostra l’ormesi ha effetti opposti a piccole dosi, rispetto a grandi dosi. L’ormesi è caratterizzata dalla stimolazione a basse dosi e dall’inibizione a dosi più alte, con conseguente effetto dose-risposta a forma di U invertita.

Ad esempio, l’aumento della produzione di ROS, indotto dall’esercizio fisico, può essere utile evocando adattamenti specifici, come un aumento dell’attività enzimatica di riparazione del danno antiossidante o ossidativo, una maggiore resistenza allo stress ossidativo e livelli inferiori di danno ossidativo.

D’altra parte, l’eccessiva produzione di ROS è solitamente associata a effetti dannosi.

ESERCIZIO FISICO E TESSUTO ADIPOSO

Entriamo ora nel cuore di cosa il Laureato in Scienze Motorie deve sapere su questo ambito.

Diversi studi hanno mostrato una forte associazione tra obesità ed inattività fisica, perché esiste una relazione inversa tra attività fisica, indice di massa corporea (BMI), rapporto fianchi-vita e circonferenza vita. Questi studi dimostrano che mantenere uno stile di vita attivo può prevenire lo sviluppo della sindrome metabolica, aumentare la riduzione del peso tramite l’esercizio, che si traduce in una minore perdita di massa muscolare (rispetto al grasso), rispetto alla perdita di peso attraverso la dieta.

Il mantenimento della massa magra è essenziale per un migliore trasporto del glucosio e il metabolismo dei grassi. La riduzione della massa grassa è utile per aumentare i livelli di adiponectina e migliorare i profili delle citochine.

Tali cambiamenti nelle adipochine e nelle citochine sono associati alla SM e tenendo d’occhio il controllo del rilascio e dell’attività di almeno due citochine, TNF- α e IL-6, queste ultime potrebbero contribuire ai naturali effetti protettivi dell’attività fisica.

L’interleuchina-6 (IL-6) è la prima citochina rilasciata in circolo durante l’esercizio e i suoi livelli aumentano in modo esponenziale in risposta all’esercizio. L’mRNA dell’IL-6 è sovraregolato nella contrazione del muscolo scheletrico e anche la velocità di trascrizione del gene IL-6 è notevolmente migliorata dall’esercizio fisico controllato.

L’IL-6 agisce sia come citochina proinfiammatoria che antinfiammatoria quando secreta, ma nello specifico quando parte dai linfociti T e dai macrofagi, IL-6 stimola la risposta immunitaria e aumenta le reazioni infiammatorie mentre, quando l’IL-6 è prodotta dai muscoli esercita effetti antinfiammatori attraverso i suoi effetti inibitori su TNF- α, IL-1 β e attivazione dell’interleuchina -1 antagonista del recettore (IL-1ra) e IL-10.

Ricorda bene cosa ho scritto qui sopra perché è tutta qui la chiave di successo!

Gli aumenti di IL-6 plasmatici indotti dall’esercizio sono correlati alla massa muscolare coinvolta nell’attività fisica, soprattutto dalla modalità, dalla durata e dall’intensità dell’esercizio.

Quest’ultimo conferisce anche protezione contro la resistenza all’insulina indotta dal TNF e Starkie et al. hanno riferito che l’infusione di IL-6 umana ricombinante (rhIL-6) in soggetti umani simulava proprio la risposta dell’IL-6 indotta dall’esercizio nella prevenzione dell’aumento indotto dall’endotossina del TNF- α plasmatico.

L’esercizio fisico può anche sopprimere la produzione di TNF- α da un percorso indipendente da IL-6, come dimostrato dagli studi di Keller et al. che hanno riportato modeste riduzioni del TNF- α plasmatico dopo l’esercizio in topi knockout per IL-6.

Una delle opinion leader sull’argomento, la  Pedersen insieme a Saltin, hanno dimostrato che IL-6 aumenta il turnover lipidico e stimolando la lipolisi e l’ossidazione dei grassi tramite l’attivazione della protein chinasi attivata da AMP ciclico.

Coerentemente con questo, Wallenius et al. hanno dimostrato che i topi carenti di IL-6 (IL6 – / -) sviluppano un’obesità ad esordio maturo e hanno un metabolismo dei carboidrati e dei lipidi disturbato che è parzialmente invertito dalla sostituzione dell’IL-6. Altri dati indicano che IL-6 ad azione centrale esercita un effetto antiobesità nei roditori.

Il grasso viscerale è potenzialmente una causa di infiammazione sistemica di basso grado, che a sua volta porta all’insulino-resistenza, al diabete di tipo II e all’aterosclerosi, in un circolo vizioso come un cane che si morde la coda.

Durante l’esercizio, l’IL-6 aumenta anche la produzione di glucosio epatico. L’ingestione di glucosio durante l’esercizio riduce la produzione di IL-6 da parte dei muscoli, suggerendo che l’IL-6 viene rilasciata a causa della riduzione dei livelli di glicogeno durante l’esercizio di resistenza e della conseguente stimolazione adrenergica della trascrizione del gene IL-6, tramite l’attivazione della proteina chinasi.

ESERCIZIO FISICO E METABOLISMO GLUCIDICO NEI MUSCOLI

Almeno due percorsi distinti sono coinvolti nel trasporto del glucosio:

  • uno è stimolato dall’insulina o dall’insulina mimetica;
  • l’altro è attivato dalla contrazione o dall’ipossia.

La fosfatidilinositolo 3 chinasi (PI3-chinasi) è coinvolta nella via attivata dall’insulina (ma non attivata dalla contrazione), mentre la proteina chinasi attivata dalla 5′AMP partecipa alle reazioni attivate dalla contrazione.

La Fosforilazione tirosinica viene stimolata da insulina di IRS-1 e, l’attività della chinasi, viene  stimolata dall’insulina. L’attività della chinasi T è diminuita nel muscolo scheletrico dei pazienti obesi e diabetici.

Pertanto, l’esercizio fisico può fornire un modo alternativo per bypassare la ridotta trasduzione del segnale dell’insulina nei muscoli dei pazienti diabetici.

Proprio per questo motivo un’attività fisica regolare migliora la funzione dell’insulina e la tolleranza al glucosio in individui sani, pazienti con obesità, persone con resistenza all’insulina e persone affette da diabete.

Tutti i meccanismi molecolari per una migliore clearance del glucosio e la sensibilità all’insulina, dopo l’esercizio, sono correlati all’aumentata espressione ed attività delle proteine ​​di segnalazione e degli enzimi, coinvolti nel metabolismo del glucosio scheletrico, e dei grassi. Così che, il trasportatore del glucosio isoforma 4 (GLUT4), diventa un enzima chiave in questa catena di reazioni e la sua biogenesi mitocondriale è aumentata grazie all’esercizio fisico.

È stato riportato che il recettore perossisoma attivato dal proliferatore γ coattivatore-1 (PGC-1) stimola l’espressione di GLUT4 il PGC-1 fa parte di un gruppo di coattivatori di trascrizione che svolgono un ruolo chiave nella regolazione del metabolismo energetico cellulare.

Aumentando la biogenesi mitocondriale, quindi la quantità di esercizio, esso partecipa alla regolazione del metabolismo sia dei carboidrati che dei lipidi.

Il PGC-1 promuove il rimodellamento del tessuto muscolare a una composizione del tipo di fibra che ha una maggiore capacità ossidativa e un minore metabolismo glicolitico in natura.

Poniamo in essere un singolo periodo di esercizio con cui si può aumentare il contenuto muscolare di PCG1-1 e in questo modo va notato che il miglioramento indotto dall’esercizio nella segnalazione dell’insulina non è limitato esclusivamente all’aumentata espressione della proteina GLUT4, poiché la sua concentrazione è simile nei diabetici sedentari e nei soggetti di controllo insulino-sensibili.

Infatti, mentre l’esercizio aumenta la proteina GLUT4 e l’mRNA nei pazienti diabetici, l’aumento della segnalazione dell’insulina post-recettore, specialmente nella fase distale della cascata delle reazioni a catena della PI3-chinasi dell’insulina, diventa il meccanismo principale che produce molteplici effetti benefici.

Questo avviene perché esso si traduce nella traslocazione di GLUT4 e nell’assorbimento del glucosio.

Sì, ma in che modo?

Semplice, il recettore si sposta esternamente e meccanicamente all’esterno della cellula in modo da “ghermire” il glucosio nel torrente cardiocircolatorio ossidandolo.

L’insulina stimola la fosforilazione da parte di Akt su cinque dei sei corpi del substrato di fosforo-Akt, portando ad un aumento degli eventi di traffico della membrana GLUT4, come abbiamo descritto sopra.

Gli esatti meccanismi di aPKC nel controllo della traslocazione di GLUT4 non sono ancora ben chiari, ma sono modulati proprio dall’esercizio fisico.

Tuttavia, i rapporti suggeriscono che, parallelamente ad Akt, l’attivazione di aPKC è essenziale sia nel processo di traslocazione sia nella fusione dei recettori e trasportatori GLUT4 alla membrana plasmatica.

ESERCIZIO E METABOLISMO LIPIDICO NEI MUSCOLI SCHELETRICI

Come affermato in precedenza, oltre all’iperglicemia e/o iperinsulinemia, i pazienti con sindrome metabolica mostrano una grave disregolazione del metabolismo lipidico, manifestata da un aumento dei livelli di acidi grassi liberi circolanti (FFA) e trigliceridi, accompagnata da accumulo di lipidi nei muscoli scheletrici.

Tale aumento dei lipidi intramiocellulari, aumenterà sicuramente lo stress ossidativo cellulare con la successiva generazione di ROS, stimolando il danno perossidativo della membrana lipidica delle membrane mitocondriali.

Uno degli effetti di base dell’allenamento fisico è l’aumento della capacità ossidativa dei muscoli scheletrici, che si traduce in un miglioramento del tasso di ossidazione del grasso corporeo.

Questo aumento della capacità di ossidazione dei grassi è in parte dovuto a un aumento delle proteine ​​di trasporto degli acidi grassi, che porta a una maggiore rimozione degli FFA plasmatici.

Gli effetti dell’allenamento agiscono sull’espressione di mRNA e proteine ​​nei muscoli, mostrando risultati diversi. Infatti, può darsi che l’aumento di queste proteine ​​sia totalmente dipendente dal protocollo, in termini di durata e intensità dell’esercizio.

L’esercizio, inoltre, attiva anche la chinasi AMP che stimola l’ossidazione degli acidi grassi, l’assorbimento del glucosio e la biogenesi mitocondriale.

Il complesso AMPK è evolutivamente una serina/treonina chinasi che funziona come un sensore di carburante nella cellula e si attiva quando l’energia cellulare è esaurita ed il rapporto AMP / ADP aumenta.

Tale risultato dell’attivazione di AMPK è l’inibizione delle vie biosintetiche che consumano energia e l’attivazione delle vie cataboliche che producono ATP. L’AMPK può anche influenzare la trascrizione di geni specifici coinvolti nel metabolismo energetico, esercitando così un controllo metabolico a lungo termine.

Gli stress cellulari che aumentano il rapporto AMP/ATP come ipossia, stress ossidativo, ipoglicemia, esercizio fisico o privazione di nutrienti possono influenzare parzialmente le condizioni metaboliche cellulari attraverso questo percorso.

Moltissimi studi hanno dimostrato che l’attivazione di AMPK porta a una ridotta produzione di glucosio dal fegato, così che la sensibilità all’insulina è inoltre migliorata grazie al ridotto accumulo di trigliceridi da parte dei muscoli scheletrici.

Ciò si verifica come risultato della fosforilazione di AMPK e, quindi, dell’inattivazione, dell’acetil-CoA carbossilasi (ACC), con conseguente diminuzione del malonil-coenzima A.

La diminuzione del contenuto di malonil-CoA determina una riduzione della sintesi degli acidi grassi e un aumento dell’ossidazione degli acidi grassi. L’attività amplificata della chinasi AMP è anche associata a un aumento del contenuto di citocromo-c, densità mitocondriale e attività di legame al DNA del fattore respiratorio nucleare-1, un fattore di trascrizione che agisce su un insieme nucleare di geni necessari per la trascrizione delle proteine ​​della catena respiratoria, oltre a quelle mitocondriali trascrizione e replicazione.

ESERCIZIO FISICO E PRESSIONA ARTERIOSA

Siamo giunti alla fine di questo viaggio e non potevo non parlare delle modifiche dello stile di vita che raccomando come strategia di trattamento iniziale per la riduzione della pressione arteriosa elevata.

L’esercizio fisico regolare induce un moderato effetto antipertensivo, soprattutto l’esercizio aerobico che abbassa anche la pressione sanguigna e migliora il controllo della pressione sanguigna tra i soggetti adulti in sovrappeso.

Inoltre, anche l’esercizio di resistance ha benefici su questo aspetto e, a tal proposito, una modesta perdita di peso del 3–9% è associata a una significativa riduzione della pressione arteriosa sistolica e diastolica di circa 3 mm Hg nelle persone che sono in sovrappeso.

I potenziali meccanismi per l’allenamento fisico e gli effetti di riduzione del peso sulla pressione sanguigna includono cambiamenti funzionali e strutturali nel sistema vascolare, modulazione del sistema renina-angiotensina e sulla riduzione della stimolazione del sistema nervoso simpatico.

Tutto questo è stato suggerito soprattutto dalla leptina, sia per il collegamento principale tra obesità ed aumento dell’attività del sistema nervoso simpatico, sia con l’interazione con l’ipertensione arteriosa.

L’obesità è associata alla sensazione dell’appetito e alle azioni di riduzione del peso della leptina, sebbene gli effetti dell’attivazione del sistema simpatico renale rimangano intatti e molti studi sull’uomo mostrano un’interazione tra alti livelli di leptina ed aumentato tono simpatico a livello nei soggetti obesi.

L’iperleptinemia cronica ha anche un effetto pressorio mediato dall’aumentata attività del sistema nervoso simpatico e in alcuni studi, l’infusione di leptina, aumenta la pressione sanguigna, la frequenza cardiaca e il sistema nervoso simpatico in diversi tessuti.

L’attività fisica aumenta l’espressione vascolare di ossido nitrico e l’importanza di questo fenomeno è stata confermata in pazienti con malattia coronarica stabile ed insufficienza cardiaca cronica.

Ci sono diversi rapporti che suggeriscono che la sovra-regolazione dell’espressione di eNOS vascolare indotta dall’esercizio è strettamente correlata ai cambiamenti di frequenza e all’intensità delle forze fisiche all’interno del sistema vascolare, in particolare allo stress, e l’aumento della frequenza cardiaca indotto dall’esercizio aumenterà la gittata cardiaca e lo stress vascolare, portando ad una maggiore espressione di eNOS.

Tale aumento della sintesi di NO secondaria a shear stress induce l’espressione della superossido dismutasi extracellulare (SOD) in modo positivo, in modo da inibire la degradazione di NO da parte dei ROS.

Un altro meccanismo parallelo che partecipa a questa armonia è la sovraregolazione di eNOS, attraverso la produzione di ROS indotta dall’esercizio, poiché l’aumento dello stress di taglio indotto dall’esercizio stimola la produzione vascolare di ROS da un percorso dipendente dall’endotelio.

La NAD (P) H ossidasi endoteliale ha un ruolo critico in questo processo, infatti, i superossidi vengono rapidamente convertiti in H2O2 mediante SOD, di conseguenza, il perossido di idrogeno si diffonde attraverso la parete vascolare e aumenta l’espressione e l’attività di eNOS.

Pertanto, una maggiore espressione di SOD1 e SOD3 (che facilitano la generazione di perossido di idrogeno dal superossido) aumenta l’effetto del perossido di idrogeno sull’espressione di eNOS indotta dall’esercizio.

Un altro meccanismo è l’aumento della compliance arteriosa indotto dall’esercizio, mediato dalla riduzione della concentrazione plasmatica di ET-1 e dall’eliminazione del tono vascolare mediato da ET-1.

Dodici settimane di allenamento con esercizi aerobici si traducono in una maggiore compliance arteriosa, che è stata accompagnata da una diminuzione dei livelli plasmatici di ET-1. Inoltre, l’aumento della compliance arteriosa centrale osservata con il blocco del recettore ET prima dell’intervento di esercizio è stato eliminata dopo l’intervento di allenamento con esercizio.

L’allenamento fisico ha un impatto significativo sulla morfologia di vari vasi sanguigni. Questi cambiamenti strutturali sono seguiti da cambiamenti funzionali e portano a un miglioramento del flusso sanguigno. L’esercizio induce l’angiogenesi, un’espansione della rete capillare mediante la formazione di nuovi vasi sanguigni a livello delle arteriole di resistenza dei capillari, e l’arteriogenesi, un allargamento dei vasi esistenti.

CONSIDERAZIONI FINALI

La sindrome metabolica è un’epidemia emergente che colpisce circa il 20% della popolazione nei paesi industrializzati occidentali. È diventato evidente che l’infiammazione e lo stress ossidativo, associati all’obesità e al sovrappeso, giocano un ruolo cruciale nella fisiopatologia di questa sindrome.

Hanno anche un grande impatto sugli esiti patologici correlati. Sembra probabile che l’insulino-resistenza sia al centro di diversi circoli viziosi che esacerbano i disturbi, portando all’intensificazione dello stress ossidativo. L’inattività fisica, riscontrata di frequente nei pazienti obesi, intensifica questi processi.

L’infiammazione subclinica cronica, associata alla sindrome metabolica, potrebbe essere una delle ragioni della continua inattività fisica e della perpetuazione di un circolo vizioso. Tuttavia gli stimoli ormetici, come quelli che derivano dall’esercizio fisico, possono aumentare la capacità antiossidante, indurre effetti antinfiammatori e migliorare la capacità di esercizio.

L’esercizio regola il metabolismo dei grassi e del glucosio e si traduce in una maggiore azione dell’insulina, mentre abbassa anche la pressione sanguigna e migliora il controllo della pressione sanguigna nei soggetti adulti in sovrappeso.

Nonostante questi benefici, resta da determinare la durata e l’intensità precisa dell’esercizio per i singoli pazienti.

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PhD Emanuele D’Angelo
Note sull’autore

BIBLIOGRAFIA

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