Con il termine stretching ci si riferisce ad una modalità di allenamento volta ad allungare il muscolo attraverso differenti tecniche di somministrazione.
Oggigiorno, sembra dato per scontato il suo effetto positivo sulla flessibilità all’interno dei più disparati programmi di allenamento, soprattutto delle sale fitness, ma anche a livello sportivo.
Nonostante questo, lo stretching, come qualsiasi altra metodica di allenamento, ha dei parametri che possiamo misurare, valutare, somministrare a seconda del soggetto che abbiamo di fronte.
Oltre a chiederci “perché sto inserendo lo stretching” se a leggere siete dei coach, oppure “perché sto facendo stretching” se foste dei liberi praticanti, dovremmo domandarci alcune altre cose fondamentali: intensità, durata, frequenza, tipologia.
Come posso manipolare queste variabili affinché quello che sto facendo o somministrando abbia il massimo effetto? Ma soprattutto, di quale effetto sto parlando?
L’articolo vuole cercare di dare una risposta proprio a queste domande, ma prima di tutto, dobbiamo conoscere queste variabili:
- Per intensità si intende la valutazione soggettiva della tolleranza umana allo stretching, utilizzando i criteri di dolore o disagio;
- Per durata si intende il tempo speso durante una sessione all’allungamento muscolare;
- Per frequenza si intende le sessioni a settimana utilizzate per lo stretching;
- Per tipologia si intende in quale modo si svolge lo stretching.
TIPOLOGIE DI STRETCHING
Vi sono diverse tecniche di allungamento muscolare descritte in letteratura (figura 1), che possiamo raggruppare in tre macroaree:
-
Stretching statico
La posizione è mantenuta con il muscolo in tensione a punto di una sensazione di stiramento.
Si suddivide in:
- stretching statico passivo, eseguita passivamente da un partner;
- stretching statico attivo, eseguita attivamente dal soggetto.
-
Stretching dinamico
Comporta il movimento di un arto verso il suo end-range. Si divide in attivo e balistico:
- lo stretching dinamico attivo comporta lo spostamento di un arto per tutta la sua gamma di movimento;
- lo stretching dinamico balistico include movimenti rapidi, alternati come “Rimbalzare”, alla fine del range di movimento.
-
Streching in pre-contrazione
Comporta una contrazione di un muscolo e successivamente l’allungamento dello stesso, oppure del suo antagonista.
Vi sono numerose tecniche appartenenti a questa tipologia.
- Proprioceptive Neuromuscular Facilitation (PNF), a sua volta diviso in “contract relax (CR), hold relax (HR) e contract-relax agonist contract (CRAC).
L’HR si esegue ponendo in contrazione isometrica massimale il muscolo stesso che deve essere poi allungato.
Nell’AC un partner posiziona l’arto del soggetto in end-range. Successivamente il soggetto contrae il muscolo agonista mentre il partner applica una forza per allungare l’antagonista.
IL CRAC è una combinazione delle precedenti tecniche. Vi è infatti una contrazione isometrica massimale del muscolo target seguito da un suo rilassamento e allungamento grazie all’applicazione della forza del partner e la contrazione del soggetto del muscolo opposto.
- Post-Isometric Relaxation (PIR), questa metodica non richiede una contrazione massimale, ma circa il 25% prima dell’allungamento.
- Post-Facilitation Stretch (PFS), sviluppata dal Dr. Vladimir Janda, la tecnica comporta una contrazione massima del muscolo a medio raggio, con un movimento rapido alla lunghezza massima seguita da 15 secondi allungamento statico.
Figura 1. Le principali tipologie di stretching (Phil Page, The International Journal of Sports Physical Therapy, 2012).
Le tecniche di stretching in pre-contrazione hanno tutte un razionale nella neurofisiologia. Infatti, la letteratura scientifica ha dimostrato che, dopo una contrazione isometrica, le ampiezze dei riflessi H e T, che ricordiamo essere rispettivamente il riflesso di Hoffman e il riflesso tendineo, sono depresse per circa 10 secondi per contrazioni che variano da 1 a 30 secondi.
Se i motoneuroni α sono meno eccitabili, ci sarà una probabilità minore che l’allungamento provochi un input afferente dai fusi neuromuscolari che inibiscono l’allungamento stesso. Questo meccanismo è ad esempio innescato dalla tecnica HR.
La tecnica AC sfrutta invece l’inibizione reciproca riflessa fra muscolo contratto e antagonista (quello da allungare), il quale, dalla contrazione dell’agonista, viene inibito attraverso l’interneurone Ia che ne riduce l’eccitabilità dei motoneuroni.
GLI EFFETTI DELLO STRETCHING
Stretching e Range of Motion
La flessibilità è una caratteristica fisica definita come la capacità di muovere volontariamente un’articolazione attraverso la sua intera gamma di movimento (ROM, Range of Motion).
Dai 20 fino ai 49 anni vi è una diminuzione media della flessibilità del 10% ogni 10 anni.
Tale riduzione può influire in modo significativo sulle attività della vita quotidiana e ridurre la qualità della vita negli adulti, per cui, allenarla durante il corso della vita, è sicuramente importantissimo.
Riassumiamo brevemente le principali linee di azione dello stretching muscolare, grazie alle quali si possono ottenere gli effetti ormai conosciuti sul ROM articolare:
- diminuisce le proprietà viscoelastiche del muscolo;
- aumenta la compliance in vivo;
- riduce l’attività del riflesso spinale;
- modula l’eccitabilità presinaptica della via inibitoria Ia;
- modifica la percezione dell’allungamento muscolare aumentando la tolleranza allo stesso.
Quest’ultimo punto sembra essere quello che per primo risponde a sessioni acute di stretching, mentre in cronico possono avvenire poi cambiamenti delle proprietà muscolari e delle caratteristiche nervose.
In una review del 2018 si sono comparate le variabili di stretching sopra citate per relazionarle alla risposta del ROM. Durante l’analisi di allungamento statico è stata ottenuta una % media di 20,9 di differenza tra interventi pre e post negli studi. Questa variazione è stata del 17,7% durante lo stretching attivo statico e del 18,2% attraverso lo stretching passivo statico.
Quindi non vi era differenza statisticamente significativa nei due gruppi di stretching, ma vi è stata una differenzia sostanziale tra gruppi di stretching e di controllo.
Per quanto riguarda lo stretching balistico la differenza è stata di 11,65% per il PNF del 15%.
I risultati suggeriscono che un miglioramento nella ROM si ottiene indipendentemente dalla tipologia di allungamento. Tuttavia, lo stretching statico mostra guadagni leggermente superiori in ROM, durante un periodo di tempo tra 4 e 16 settimane (figura 2 A).
Sembra che i miglioramenti del ROM siano anche correlati al volume totale settimanale, piuttosto che al tempo trascorso a fare stretching per sessione.
Cinque minuti a settimana, per gruppo muscolare, sembrano essere i livelli minimi necessari per ottenere una risposta significativa in termini di flessibilità. Tra i 5 e 10 minuti la risposta è ottimale e, quest’ultima, non cambia per tempi superiori a 10 minuti (figura 2 B).
A)
B)
Figura 2. Differenze percentuali di guadagno di flessibilità in relazione alle tipologie di stretching (A) e al volume settimanale (B), (Ewan Thomas et al., Int J Sports Med, 2018).
Per quanto riguarda lo stretching dinamico, gli studi in letteratura sono contrastanti, soprattutto se paragoniamo la modalità dinamica a quella appena vista statica.
Innanzitutto, dobbiamo distinguere lo stretching dinamico attivo e balistico.
Lo stretching balistico, che coinvolge un incontrollato movimento di rimbalzo, potrebbe causare la facilitazione dell’allungamento riflesso e quindi indurre la contrazione nel muscolo allungato. Di conseguenza, può essere svantaggioso per migliorare il ROM.
Lo stretching dinamico è correlato a un maggior aumento di temperatura muscolare rispetto allo stretching statico. Se la temperatura aumenta, diminuisce la resistenza viscosa dei muscoli, di conseguenza migliora l’estendibilità dei tessuti.
Tutto ciò, accoppiato ai gradi angolari in end-range al quale viene sottoposta l’articolazione tramite lo stretching dinamico, potrebbe contribuire al possibile miglioramento del ROM in misura maggiore rispetto allo stretching statico.
Possiamo per ora affermare che stretching dinamico sembra essere una valida alternativa allo stretching statico come parte di un riscaldamento, oppure come implemento dello stesso.
Lo stretching dinamico sembra essere maggiormente importante a livello sportivo perché ci sono studi che confermano i suoi effetti positivi rispetto alla performance.
Risposte Cardiovascolari
Sebbene, nella concezione comune, lo stretching è una modalità di esercizio utilizzata per migliorare la flessibilità, il suo ruolo non si limita soltanto a questo.
Di fatti, è molto più ampio di quello che può sembrare e la flessibilità non è che una piccola parte tra gli effetti che possiamo annoverare allo stretching, come fosse una pagina di un libro intero.
In particolare, negli ultimi anni, sono aumentati di parecchio gli studi sulle risposte cardiovascolari.
In questo paragrafo, andremo a sviscerare i più importanti risultati per meglio comprendere come il sistema cardiovascolare viene sollecitato dallo stretching.
Voglio partire da una review del 2021 che ha identificato 198 articoli (fino ad includerne 16) che si sono occupati dei seguenti parametri:
- frequenza cardiaca (HR);
- pressione sanguigna (BP), sia sistolica (SBP) che diastolica (DBP);
- pressione arteriosa media (MAP);
- velocità dell’onda di polso (PWV), una misura della rigidità arteriosa;
- variabilità della frequenza cardiaca (HRV).
Gli studi sono stati stratificati in base alla lunghezza dell’intervento in due categorie: sessioni singole e longitudinali, con un volume di allungamento totale medio di circa 7 min per gli studi a singola sessione, e un volume medio degli interventi longitudinali di circa 13 minuti.
I protocolli di stretching erano prevalentemente stretching statico passivo ad eccezione di Silveira et al. che ha studiato allungamento statico attivo, e Patil et al. i cui soggetti si sono sottoposti a un programma di yoga giornaliero di 1 ora.
Tra gli studi, Hotta et al. ha analizzato gli effetti su persone in fase di riabilitazione cardiaca, dopo infarto miocardico acuto, e Kato et al. su pazienti con insufficienza cardiaca cronica con un defibrillatore cardioverter impiantabile.
Gli autori di questi studi non hanno riportato effetti avversi in nessun paziente dopo le procedure di stretching.
I risultati sono che lo stretching diminuisce moderatamente la frequenza cardiaca e migliora la rigidità arteriosa sia sistemica che centrale.
- Tutti gli studi hanno riportato una riduzione della FC post stretching.
- Dopo l’esecuzione viene mostrato un aumento generale della PA di SBP, DBP e MAP una sola seduta di stretching, mentre si osserva una riduzione in tutti i parametri dopo studi longitudinali.
- La SBP ha mostrato una tendenza ad aumentare dopo interventi di sessione di una media di 3 mmHg, mentre gli interventi longitudinali hanno mostrato una tendenza a diminuire la SBP di una media 4 mmHg.
- È stato osservato negli interventi longitudinali, una diminuzione media di 3 mmHg tra -pre e post-intervento per DBP. Troppo incoerenti sono invece i risultati delle singole sessioni per quanto riguarda questo parametro.
- La PWV decresce in tutti gli studi, con una media del 7.6 % negli studi longitudinali.
- I risultati dei parametri analizzati per l’HRV indicano una tendenza ad un aumento dell’attività parasimpatica e una diminuzione di attività simpatica dopo lo stretching.
Per capire il perché lo stretching influenzi in questo modo i parametri cardiaci, bisogna uscire dalla concezione accademica dei tessuti scissi fra loro come li abbiamo studiati nei libri.
Compreso che il muscolo è un complesso di fibre non soltanto muscolari, ma anche connettive, nervose e appunto vascolari, possiamo avere una visione più d’insieme.
Il letto capillare è disposto sia verticalmente che orizzontalmente all’interno del muscolo scheletrico, come una maglia a rete (figura 3). Questa disposizione è funzionale alla facilitazione degli scambi gassosi e metabolici che consentono al muscolo di compiere il proprio lavoro.
Così come per il tessuto connettivo, anche quello vascolare è in intimo rapporto con la struttura muscolare ove si posa. I vasi vengono costantemente influenzati in lunghezza e diametro, nonché in disposizione, grazie alla loro natura molto elastica.
Inoltre, una caratteristica importantissima dei capillari è la tortuosità attraverso la quale possono seguire le variazioni delle fibre muscolari senza andare incontro a collasso. La tortuosità, quindi, specchia la riserva di estensione capillare, cioè la capacità di modificare la resistenza e la diffusione vascolare.
Le azioni muscolari concentriche accorciano le fibre, provocando più torsioni e arricciature, in tal modo c’è aumento della tortuosità capillare. D’altra parte, i muscoli in allungamento allungano anche i riccioli dei capillari e con una diminuzione della tortuosità.
La tortuosità del vaso, che aumenta la resistenza vascolare, è aumentata con l’avanzare dell’età nei vasi sanguigni sia piccoli che grandi.
Figura 3. L’architettura dei vasi sanguinei muscolari (Nicholas T. Kruse and Barry W. Scheuermann, Sports Med, 2017).
Concludiamo il paragrafo affermando che lo stretching è una metodica allenante a basso impatto, con una richiesta metabolica inferiore rispetto ad un esercizio aerobico di moderata intensità, il che lo rende importante nelle implicazioni per la futura medicina vascolare terapeutica e cardiaca in molte popolazioni. (Nicholas T. Kruse and Barry W. Scheuermann, 2017).
Per cui, lo stretching può essere una forma adeguata di esercizio per soggetti che hanno una bassa capacità fisica, inclusi anziani o pazienti con malattie cardiovascolari, perché è facile da controllare e riduce lo stress sul corpo.
STRETCHING E PERFORMANCE
Forse questo è il campo in cui ci sono stati più miti e speculazioni che in altri. Dall’uso spasmodico dello stretching prima di qualsiasi competizione o prestazione, alla sua assoluta condanna (figura 4).
Ma cosa ci dice veramente la scienza? Dove siamo arrivati attualmente?
Il discorso è molto più complesso dal domandarsi se lo stretching inibisce la prestazione oppure la aumenti. La risposta, come molto spesso accade è, dipende.
Quale stretching? Quando farlo? Come farlo? Queste sono le domande sensate a cui dobbiamo dare una risposta in questo paragrafo.
Per scelta organizzativa si suddividono i seguenti sottoparagrafi in effetti acuto, per tipologia di stretching, e in cronico.
Figura 4. Timeline della concezione sugli effetti dello stretching statico sulla forza, potenza e performance (Helmi Chaabene et al., Front. Physiol., 2019).
Cosa succede in acuto?
-
Lo stretching statico
Possiamo partire dal distinguere due campi di concezione: pensare agli effetti prestativi dello stretching in acuto prima di una prestazione, come facente parte del warm-up, oppure cosa produce nel cronico, come facente parte della programmazione.
In tal senso, dalla letteratura possiamo portarci a casa l’assunzione di non raccomandare lo stretching statico durante le attività di riscaldamento pre-evento, ma soprattutto quando la prestazione è molto a ridosso.
Ciò vuol dire che, se i test vengono eseguiti immediatamente dopo la pratica di stretching (intorno ai cinque minuti), la prestazione può essere menomata.
Ma negli studi che hanno condotto test dieci minuti dopo lo stretching, i cambiamenti delle prestazioni erano già statisticamente banali.
E mi viene da chiedere, in quante situazioni si gareggia così a ridosso del warm-up?
Oltre a ciò, in acuto, assume la massima importanza la relazione dose-risposta. Vuol dire che tutto dipende da come forniamo lo stretching al nostro atleta/cliente.
Prove più recenti suggeriscono che, quando integrato in una routine di riscaldamento completa che include attività aerobica, stretching dinamico e attività specifiche per lo sport, lo stretching statico di breve durata (≤60 s per gruppo muscolare) banalmente altera le successive attività di forza e potenza.
Il problema di condannare lo stretching sulla base delle vecchie concezioni scientifiche è probabilmente stato che, questi studi, hanno testato su interventi monomodali di stretching.
Vuol dire che, nel pre-test, si faceva solo stretching, cosa che è lontana dalla pratica sul campo, dove il warm-up è integrato ad altre attività.
Tuttavia, durate più lunghe (> 60 s per gruppo muscolare) sembrano indurre cali sostanziali e praticamente rilevanti nelle prestazioni di forza e potenza.
Nella loro revisione sistematica della letteratura, Kay e Blazevich (2012) hanno esaminato 106 studi e hanno dimostrato che ≥60 s di stretching statico per gruppo muscolare hanno determinato un calo medio delle prestazioni del 7,5% nelle misure di forza muscolare.
Tuttavia, gli stessi autori hanno dimostrato che per meno di 45 s può essere utilizzato durante le routine di riscaldamento, senza alcun rischio significativo di effetti dannosi sulle prestazioni di forza e potenza.
Ma allora, se modulando la dose di stretching possiamo non intaccare la prestazione, perché arrischiarsi a farlo?
Prove recenti suggeriscono che, considerato all’interno di una routine di riscaldamento completa, lo stretching statico di breve durata può anche contribuire a ridurre il rischio di lesioni muscolo-tendinee (Small et al., 2008; Blazevich et al., 2018; Reid et al., 2018).
-
Lo stretching dinamico (DS)
Lo stretching dinamico ha alcune caratteristiche che lo rendono preferibile allo statico nella preparazione per l’attività fisica:
- stretta somiglianza negli schemi di movimento dell’esercizio (Behm e Sale 1993);
- aumenta la temperatura interna (Fletcher e Jones 2004), che può aumentare la velocità di conduzione nervosa, la compliance muscolare e ciclo enzimatico;
- tende ad aumentare piuttosto che diminuire il controllo centrale.
Behm e Chaouachi (2011) hanno riportato un effetto dose-risposta dello stretching dinamico in cui sono stati osservati miglioramenti di forza e potenza di picco complessivi maggiori quando> 90 s vs. <90 s di DS, imposto immediatamente prima del test.
11 studi avevano fissato durate di 30 s, 8 studi hanno utilizzato durate di 15 secondi e 4 studi hanno utilizzato un set rispettivamente di 20, 25 e 40 s.
In base alla variabilità tra studi, è difficile dimostrare una relazione dose-risposta con DS.
Sono stati osservati miglioramenti medi moderati del 2,1% prestazioni di salto (34 misure), mentre azioni ripetitive come la corsa, lo sprint o l’agilità (17 misure) hanno mostrato a piccolo miglioramento dell’1,4%.
-
Lo stretching PNF
Lo stretching PNF è usato raramente nella routine di warm-up:
- serve assistenza del partner;
- non è di facile esecuzione;
- nessuno studio ha riportato un miglioramento in acuto delle prestazioni immediatamente dopo PNF mediante tecnica CR.
Il numero limitato di studi che impongono lo stretching PNF, accoppiato con la gamma relativamente piccola di durate di allungamento (5–50 s), ha reso impossibile un esame della relazione dose-risposta.
La routine CR veniva normalmente ripetuta 2-5 volte, fornendo una fase SS media di 2,5 ± 2,9 min.
-
Una visione d’insieme
TIPO | QUANDO | COME | PERFORMANCE |
Statico | Non prima di 10 minuti dalla performance | Di breve durata (<60s per gruppo muscolare) | Maggiori deficit sui test di forza rispetto a prestazioni di potenza |
Dinamico | Più vicino alla performance | Difficile evidenziare relazione dose risposta |
|
PNF | Non prima di 15 minuti dalla performance | Difficile evidenziare relazione dose risposta | Maggiori deficit nell’altezza di salto |
Cosa succede in cronico?
Dal momento che è ben documentata la sua efficacia nell’aumentare la flessibilità muscolare (Medeiros, Cini, Sbruzzi e Lima, 2016) in cronico, ci si dovrebbe chiedere: che ruolo ha il guadagno di flessibilità sulle prestazioni muscolari?
La materia è ancora oggetto di dibattito.
In una review del 2017, 14 articoli su 28 hanno mostrato alcune prove che il guadagno di flessibilità potrebbe essere in grado di migliorare la performance.
Un ottimismo aleggia soprattutto sullo stretch-shortening cycle, come tipologia di contrazione che più potrebbe beneficiare dello stretching in cronico. Riportiamo la tabella che esamina gli studi che hanno utilizzato questa tipologia di contrazione come test (figura 5).
D’altra parte, le contrazioni statiche sembrano non essere influenzate. Tuttavia, la reale influenza di una maggiore flessibilità sulla prestazione rimane incerta.
La flessibilità è sicuramente una componente essenziale della forma fisica e, come tale, dovrebbe essere presa in considerazione sia durante l’allenamento che in programmi di riabilitazione.
C’è la necessità di studi di più alta qualità su questo argomento per potersi esprimere.
Figura 5. Gli studi che hanno analizzato l’effetto dello stretching utilizzando come test una contrazione SSC (D.M. Medeiros, C.S. Lima Human Movement Science 54, 2017).
STRETCHING E IPERTROFIA MUSCOLARE
Era il 1974 quando Goldspink et al. osservò che mantenendo l’arto posteriore denervato di un gatto in una posizione di allungamento per 4 settimane, si produce una sarcomerogenesi nel muscolo soleo.
Quegli anni spalancarono la porta a un nuovo modo di utilizzare lo stretching: la crescita muscolare. Dallo studio dei modelli animali a quello in vitro, negli anni 2000, si è passato poi allo studio sull’uomo.
In questo paragrafo verrà esaminata una review del 2018 in cui sono stati inclusi dieci studi all’analisi di una correlazione tra stretching e ipertrofia nell’uomo (figura 6).
Figura 6. Dieci studi che hanno analizzato l’adattamento della struttura muscolare in risposta allo stretching (João Pedro Nunes et al., Clin Physiol Funct Imaging, 2020).
Non tutti gli studi hanno mostrato un aumento ipertrofico, ne riportiamo due:
-
Primo studio
Mizuno (2019) ha studiato gli effetti di un protocollo di 8 settimane sul gastrocnemio mediale in 20 studenti universitari (11 gruppo di stretching; 9 gruppo di controllo).
L’allenamento è stato svolto attraverso l’uso di una tavola da stretching, supervisionato per 3 sedute a settimana, consistenti di 4 × 30 s di stretching con 30 s di riposo tra le serie.
L’intensità dello stretching è stata impostata come la più alta inclinazione della tavola in base alla quale i soggetti hanno allungato completamente i muscoli del polpaccio.
I risultati post-allenamento hanno mostrato un significativo miglioramento dello spessore muscolare per il gruppo sperimentale (+ 5,8%), mentre il gruppo di controllo non ha mostrato cambiamenti.
-
Secondo studio
Simpson et al. (2017) ha esplorato gli effetti di allenamento stretching caricato in 21 giovani uomini, di cui 11 gruppo sperimentale e 10 gruppo di controllo.
L’allenamento è stato effettuato sulla gamba non dominante e consisteva di 180 s di stretching statico in un leg press caricato con il 20% della contrazione isometrica volontaria massima.
Cinque sedute a settimana per 6 settimane hanno prodotto un aumento del 5.6% dello spessore muscolare nel gruppo sperimentale.
Osserviamo come in questi due studi che hanno indotto uno stimolo ipertrofico ci sia una cosa in comune: l’utilizzo di un carico esterno, che può essere dato dal peso corporeo oppure da una macchina.
Ciò potrebbe far pensare che, per ottenere l’incremento di spessore muscolare dallo stretching, bisogna modularne l’intensità.
Sebbene questi studi siano molto interessanti, sono lontani dalla pratica sul campo, poiché gli effetti sono stati visti attraverso un trattamento di stretching isolato.
Studi più moderni hanno dunque implementato lo stretching alla pratica di resistance training per valutarne l’impatto sull’ipertrofia (figura 7).
Figura 7. Gli studi che hanno associato lo stretching al resistence training (João Pedro Nunes et al., Clin Physiol Funct Imaging, 2020).
Anche qui riportiamo due studi che hanno notato effetti positivi.
-
Primo studio
Silva et al. (2014) hanno assegnato in modo casuale 24 uomini allo stretching interset nel programma di forza, rispetto al gruppo di controllo che non ha eseguito lo stretching.
In entrambe le condizioni, i soggetti si sono esibiti in 4 serie di esercizi di flessione plantare per 8-12 ripetizioni su una pressa per gambe, due volte a settimana per 5 settimane.
Per la condizione di stretching interset, i soggetti hanno mantenuto il peso del leg press in posizione dorsiflessa per 30 s tra le serie, mentre i soggetti nel gruppo di controllo riposavano passivamente.
-
Secondo studio
Evangelista et al. (2019) ha confrontato gli effetti in 8 settimane di allenamento di resistenza attraverso 6 esercizi, impostati in 4 set × 8-12 ripetizioni, 2 sedute a settimana. Su un riposo impostato a 90 s, 30 s sono stati dedicati a uno stretching passivo per il gruppo di controllo.
Entrambi gli studi hanno mostrato un effetto ipertrofico maggiore quando si impiega uno stretching nel periodo di riposo tre i set.
Possiamo quindi affermare che, se sembra possibile indurre un incremento di ipertrofia tramite lo stretching, si dovrebbero rispettare almeno due condizioni:
- lo stretching deve essere eseguito ad un’intensità importante;
- lo stretching deve essere eseguito interset.
Non ci resta che attendere studi futuri che ci mostreranno altre considerazioni da implementare nell’allenamento.
STRETCHING E PREVENZIONI INFORTUNI
In questo paragrafo voglio partire da una review del lontano 2002, che ha investigato gli effetti dello stretching sulla prevenzione infortuni e sul dolore muscolare post allenamento.
Tra i vari, due studi hanno valutato gli effetti dello stretching prima dell’esercizio sul rischio di lesioni nelle nuove reclute militari che si sottoponevano a 12 settimane di addestramento iniziale.
La stima aggregata di due studi era quella che l’allungamento ha ridotto il rischio di lesioni del 5% relativo, quindi, un rischio di lesioni assoluto dell’1%
Questo effetto è statisticamente non significativo.
Pertanto, in media, circa 100 persone si allungano per 12 settimane per prevenire un infortunio e (se la riduzione del rischio fosse costante) il soggetto medio avrebbe bisogno di allungare per 23 anni per prevenire un infortunio.
L’articolo conclude che comunque non è possibile escludere questo effetto con certezza, fin tanto che non si studieranno altri protocolli di allungamento clinicamente utili su altre popolazioni.
Dopo questa piccola premessa, il paragrafo vuole rispondere alla seguente domanda: a distanza di 19 anni, quali sono le attuali conoscenze sulla prevenzione del rischio infortuni?
Iniziamo con l’affermare che è di importanza fondamentale innanzitutto classificare gli infortuni, per capire il reale effetto dello stretching, il quale sembrerebbe avere un impatto maggiore sulla riduzione degli infortuni muscolo-tendinei e molto meno per quanto riguarda quelli ossei e articolari.
Alcuni studi sono stati sottoposti a reclute militari, le quali sono sottomesse a un massiccio aumento del volume di allenamento che coinvolge molte attività a cui non erano mai stati esposti, quindi potremmo parlare di infortuni da eccessivo uso.
Altri hanno analizzato popolazioni di sportivi e hanno testato soprattutto l’utilizzo dello stretching statico.
Il rischio di lesioni nello sport è multifattoriale e, in generale, è specifico per lo sport, con fattori intrinseci (età, sesso, forza ecc…) ed estrinseci (riscaldamento, allenamento, ambiente, regole ecc…).
Bixler and Jones ha riscontrato un significativo effetto di stretching e riscaldamento nella riduzione degli infortuni muscolari nelle partite di calcio delle scuole superiori, utilizzando stretching statico 15 secondi nella posizione di trunk twist e 25 secondi ciascuno per quad stretch, stretch per l’inguine e hamstring.
Hartig and Henderson utilizzano un protocollo 5 × 30 sec sugli Hamstring, 3 sessioni al giorno per 13 settimane ha riscontrato una riduzione degli infortuni da sovra-utilizzo degli arti inferiori.
Verrall et al ha studiato gli effetti sulla riduzione infortunio hamstring sport specifico in una popolazione di una squadra di calcio australiana, ma hanno implementato in preseason esercizi di stretching a esercizi sport specifici e high-intensity anaerobic interval training.
Il protocollo di stretching statico passivo per gli hamstring consisteva in 15 secondi per ciascuna posizione del ginocchio a 0, 10, and 90° di flessione.
Nonostante gli studi sopra citati, in realtà, è difficile determinare gli effetti di stretching nella pratica, poiché spesso è combinato con altre metodologie di prevenzione (Riewald, 2004).
Ad oggi, invece, abbiamo una nuova consapevolezza riguardo lo scarso effetto preventivo dello stretching sugli infortuni.
Lauersen JB, et al. (2014), per determinare se gli esercizi possono ridurre gli infortuni sportivi, hanno analizzato gli esercizi di forza, stretching, esercizi di propriocezione e la combinazione di questi, includendo in una review 25 trials per un totale di 26 610 partecipanti con 3464 infortuni, per fornire stime separate di lesioni acute e da uso eccessivo.
Gli autori non supportano l’uso dello stretching a fini di prevenzione degli infortuni, né prima né dopo l’allenamento (figura 8).
L’allenamento della forza ha ridotto gli infortuni sportivi a meno di un terzo.
I programmi di esposizione multipla, poiché includono sia esposizioni benefiche comprovate che non, riducono l’effetto preventivo complessivo sugli infortuni sportivi.
Quando le analisi sono state stratificate per risultato, entrambe acute e uso eccessivo, sono state efficacemente ridotte dall’attività fisica preventiva, sebbene gli infortuni da uso eccessivo siano andati leggermente meglio.
Figura 8. Stime di esposizione dei vari studi. Il Forest Plot ci mostra come gli studi sulla forza hanno dato i risultati più positivi mentre lo stretching i meno efficaci (Lauersen JB, et al. Br J Sports Med 2014).
- Cluster = Gruppo omogeneo, insieme di entità contigue di una popolazione.
- RR = Rischio relativo, il rapporto tra incidenza di una malattia negli esposti e incidenza nei non esposti allo stesso fattore di rischio.
- Gli studi di stretching sono indicati con rosso, esercizi di propriocezione gialli, allenamento per la forza verde e componenti multiple in blu.
- Le linee orizzontali rappresentano l’intervallo di confidenza che esprime il livello di precisione associato alla stima di un parametro: tanto più è piccolo, tanto più indica che la stima è precisa.
- La linea verticale rappresenta il valore zero.
Se l’intervallo di confidenza di un singolo studio attraversa questa linea significa che non vi è alcuna differenza tra i due gruppi analizzati durante l’esperimento, quindi la variabile misurata non è un fattore protettivo.
Se si trova a sinistra vuol dire che il trattamento è meglio del controllo.
Se si trova a destra vuol dire che il controllo è meglio del trattamento.
Quindi possiamo concludere il paragrafo affermando che i protocolli di stretching hanno scarsa valenza sulla prevenzione infortuni. Molto più efficaci sono gli allenamenti sulla forza.
Infine, i protocolli di stretching dovrebbero essere specifici per l’attività sportiva praticata (Woods et al., 2007), per migliorare la funzionalità muscolare in quanto, la flessibilità, gioca un ruolo sì importante sulla funzione atletica, ma probabilmente meno sulla prevenzione all’infortunio.
CONSIDERAZIONI FINALI
Abbiamo sviscerato e portato alla luce molte considerazioni sullo stretching minando qualche falso mito, vacillando qualche certezza e avanzando nuove opinioni, senza mai avere la presunzione di essere depositari della verità.
Abbiamo visto come lo stretching non sia rilegato al ruolo assunto sulla flessibilità, alla relazione apparentemente lontana con il sistema cardiovascolare, al fatto che non necessariamente riduca la performance che può essere collegato alla crescita muscolare in determinate circostanze, al ruolo ancora non chiaro sulla prevenzione infortuni.
Ma soprattutto abbiamo visto come, la scienza, sia la prima a muoversi a piccoli passi, senza sfoggiare nessuna assoluta certezza.
E allora “ciò che si è sempre fatto così”, così tanto per avere quelle certezze di cui abbiamo bisogno sul campo, è come avere un trapano e cercare di usarlo in un bicchiere pieno d’acqua.
“Il dubbio è l’inizio della conoscenza” ed è ciò che muove il pensiero umano. Dubitare del passato non è essere superbi, ma più umili che mai.
Vuoi ricevere contenuti pratici e sempre aggiornati, come quelli citati in questo articolo? Allora non ti resta che diventare uno dei membri della nostra University Lab!
Seguici su Facebook per restare aggiornato sui prossimi corsi di formazione pensati per i Professionisti del Movimento!
Simone Antonielli
Note sull’autore
Laurea triennale in Scienze Motorie e Sportive, Università degli studi dell’Aquila
Laurea magistrale in Scienze Motorie Preventive e Adattative, Università degli studi dell’Aquila
Certificazione “Functional and postural recovery” presso Training Lab Italia
Certificazione “Strenght and Conditioning Buzzichelli edition” presso Training Lab Italia
BIBLIOGRAFIA
- Cardiovascular Responses to Muscle Stretching: A Systematic Review and Meta-analysis. Ewan Thomas, Marianna Bellafiore, Ambra Gentile, Antonio Paoli, Antonio Palma, Antonino Bianco, Int J Sports Med 2021.
- Cardiovascular Responses to Skeletal Muscle Stretching: ‘‘Stretching’’ the Truth or a New Exercise Paradigm for Cardiovascular Medicine? Nicholas T. Kruse, Barry W. Scheuermann, Sports Med 2017.
- Daily muscle stretching enhances blood flow, endothelial function, capillarity, vascular volume and connectivity in aged skeletal muscle, Kazuki Hotta, Bradley J. Behnke, Bahram Arjmandi, Payal Ghosh, Bei Chen, Rachael Brooks, Joshua J.
- Maraj, Marcus L. Elam, Patrick Maher, Daniel Kurien, Alexandra Churchill, Jaime L. Sepulveda, Max B. Kabolowsky, Demetra D. Christou and Judy M. Muller-Delp, J Physiol 2018.
- Acute effect of stretching one leg on regional arterial stiffness in young men, Yosuke Yamato, Natsuki Hasegawa, Shumpei Fujie, Shigehiko Ogoh, Motoyuki Iemitsu, Eur J Appl Physiol 2017.
- Does stretch training induce muscle hypertrophy in humans? A review of the literature João Pedro Nunes, Brad J. Schoenfeld, Masatoshi Nakamura, Alex S. Ribeiro, Paolo M. Cunha, Edilson S. Cyrino, Clin Physiol Funct Imaging. 2020.
- Influence of chronic stretching on muscle performance: Systematic review, D.M. Medeiros, C.S. Lima, Human Movement Science 2017.
- Acute effects of muscle stretching on physical performance, range of motion, and injury incidence in healthy active individuals: a systematic review, David G. Behm, Anthony J. Blazevich, Anthony D. Kay, and Malachy McHugh, Appl. Physiol. Nutr. Metab. 2016.
- Acute Effects of Static Stretching on Muscle Strength and Power: An Attempt to Clarify Previous Caveats Helmi Chaabene, David G. Behm, Yassine Negra and Urs Granache, Frontiers in Physiology 2019.
- Acute Effects of Dynamic Stretching on Muscle Flexibility and Performance: An Analysis of the Current Literature Jules Opplert Nicolas Babault, Sports Med, 2018.
- The Relation Between Stretching Typology and Stretching Duration: The Effects on Range of Motion, Ewan Thomas, Antonino Bianco, Antonio Paoli, Antonio Palma, Int J Sports Med 2018.
- Warm-Up and Stretching in the Prevention of Muscular Injury, Krista Woods, Phillip Bishop and Eric Jones Sports Med 2007.
- To stretch or not to stretch: the role of stretching in injury prevention and performance M. P. McHugh, C. H. Cosgrave, Scand J Med Sci Sports 2010.
- Stretching Before and After Exercise: Effect on Muscle Soreness and Injury Risk J. C. Andersen, Journal of Athletic Training 2005.
- Effects of stretching before and after exercising on muscle soreness and risk of injury: systematic review Rob D Herbert, Michael Gabriel, BMJ 2002.
- Current concepts in muscle stretching for exercise and rehabilitation, Phil Page, The International Journal of Sports Physical Therapy, 2012.
- Can chronic stretching change the muscle-tendon mechanical properties? A review S. R. Freitas, B. Mendes, G. Le Sant, R. J. Andrade, A. Nordez, Z. Milanovic, Scand J Med Sci Sports. 2018.
- Stretching and Injury Prevention An Obscure Relationship, Erik Witvrouw, Nele Mahieu, Lieven Danneels and Peter McNair, Sports Med 2004.
- The effectiveness of exercise interventions to prevent sports injuries: a systematic review and meta-analysis of randomised controlled trials, Jeppe Bo Lauersen, Ditte Marie Bertelsen, Lars Bo Andersen, Br J Sports Med 2014.