La valutazione posturale. Secondo step

Data:

26/06/2020

Indice degli argomenti

Secondo di 5 articoli all’interno dei quali troverai quelli che secondo il mio punto di vista sono gli step da seguire per una valutazione posturale completa: consigli e spunti da mettere subito in pratica e racconti di campo.

Ah, se non hai letto il primo step lo trovi qui: ora prendi carta e penna perché adesso entriamo nel vivo della seconda fase.

PICCOLA PREMESSA ANCHE QUI

Ti riporto una premessa fatta anche nel precedente articolo, magari sarò ripetitivo ma è sempre giusto precisare ed essere onesti con se stessi.

Come dicevo: l’applicazione pratica necessita comunque di molto studio.

So di dire una cosa banale ma se non studiamo bene l’anatomia, la fisiologia etc., non sapremo come e dove cominciare, quali domande fare e perché, come ragionare sul caso e, figuriamoci, risolverlo. Quindi, prima di partire con una valutazione, parti da un’autovalutazione. Fatti alcune domande: sono in grado di approcciarmi a questo caso? Ho le competenze per ragionarci su? Ho una visione ampia?

In caso contrario rischi di applicare metodi o protocolli senza un perché, o di usare le stesse metodiche sia se funzionino sia se non, perché conosci solo quelle.
Ragion per cui ti riporto come sempre il mio mantra:

Quando possiedi solo un martello, tutta la vita intorno a te sembrerà un chiodo. – A. Maslow

corso valutazione postulare

QUAL È QUINDI IL SECONDO STEP?

Sicuramente, dopo la raccolta dati fatta in precedenza, ti aspetterai di passare a qualche test funzionale da somministrare al tuo cliente. In realtà non è ancora questa la fase, perché manca ancora una parte importante che, più che un secondo step, possiamo definire un primo step bis. Eh si perché quello che affronteremo riguarda nuovamente una raccolta informazioni ma con un risvolto più oggettivo e tangibile. 

Di cosa mi stai parlando Marcello?

Ti sto parlando dei questionari e delle scale di valutazione. Ecco perché ti parlavo di primo step bis, perché in realtà questa fase è ancora parte dell’inchiesta ma, stavolta, la facciamo con strumenti già codificati e validati scientificamente.

Questi strumenti si sono rivelati efficaci nel campo della ricerca, mentre il loro impiego risulta ancora alquanto limitato nella pratica clinica quotidiana. La scarsa dimestichezza con l’utilizzo di questionari e scale, la non intuitiva interpretazione dei punteggi, il timore di uno sperpero di tempo per l’acquisizione dei dati, sono i fattori che più ne limitano l’impiego nella pratica clinica. 

La nostra esperienza ci ha portato a constatare che, dopo un’adeguata fase di “allenamento”, l’uso di questi strumenti al di fuori del puro ambito della ricerca diventa utile ed opportuno, e non si traduce in una limitazione dei normali ritmi della propria attività, tutt’altro.

Perché quindi usarli?

Per 3 semplici motivi:

  1. Avremo dei dati quantificabili più oggettivi;
  2. Potremo monitorare i miglioramenti attraverso numeri e grafici;
  3. Possiamo mostrare questi dati ai clienti aumentando la compliance e dimostrandoci più professionali.

Sul punto 3 mi voglio soffermare perché sembrerà strano ma, nonostante i suddetti strumenti siano di semplice utilizzo, in pochi li inseriscono nelle proprie valutazioni. Inoltre, avendo dei dati abbinati a reperti fotografici o altro, si possono anche creare dei case report utili da mostrare ai clienti, ma anche ai colleghi di lavoro o nei congressi a cui partecipi.

È così che deve lavorare un professionista!

QUESTIONARI: COSA SONO?

Diciamo subito che un questionario è quello strumento di misura deputato a raccogliere le informazioni sulle variabili qualitative e quantitative oggetto di indagine.

Caratteristica principale è rappresentata dal fatto che, affinchè possa svolgere il suo ruolo, deve essere standardizzato, ovvero le domande e le comunicazioni devono essere identiche per tutti i rispondenti, in modo tale che le informazioni raccolte siano comparabili fra loro e le uniche variabili siano i vissuti, le esperienze e i “credo” personali dei soggetti che forniscono punti di vista differenti. 

Secondo una definizione di Zammuner del 1996, i questionari sono: 

strumenti di raccolta delle informazioni, definiti come un insieme strutturato di domande, e relative categorie di risposta, definite a priori da chi lo costruisce, ovvero di domande cosiddette “chiuse”, dove all’intervistato (inteso come colui che risponde alle domande scritte del questionario) viene richiesto di individuare tra le risposte presentate quella che più si avvicina alla propria posizione, e/o di domande “aperte”, che non prevedono cioè delle risposte predeterminate. 

Semplicità, economicità e velocità di elaborazione dati sono tra gli aspetti positivi di questi strumenti, ma v’è da dire che ci sono anche aspetti negativi quali:

  • rigidità: il rispondente può voler dare una risposta che, non essendo compresa tra quelle proposte, viene persa o distorta. Questa rigidià comporta una semplificazione della soggettività dell’esperienza del singolo individuo
  • scarsa sensibilità: il questionario autosomministrato non è in grado di rilevare le percezioni di alcune categorie di persone come gli stranieri, gli analfabeti etc.
  • effetti della struttura delle domande: il soggetto potrebbe risultare insoddisfatto per il fatto di non poter esprimere liberamente le proprie convinzioni, o alternativamente può essere insoddisfatto dal tipo di quesito al quale è chiamato a rispondere. Ciò potrebbe provocare anche un limitato tasso di compliance, oltre che non accettazione dello strumento stesso.

Ok, ma quali utilizzare?

Di questionari ne esistono un’infinità.

In base al parametro che dobbiamo indagare, troveremo in letteratura sicuramente ciò che ci occorre e, rispettando alcuni criteri, si potrebbero anche creare ad hoc.

Giusto per non perderci in chiacchiere, ho selezionato alcuni dei questionari che mi capita di utilizzare spesso nelle mie valutazioni e che puoi, con un po’ “allenamento”, imparare ad utilizzare anche tu. Sì, perché ogni questionario ha un suo manuale d’uso ed una sua standardizzazione, proprio per evitare che il cattivo utilizzo faccia emergere dati errati.

Short Form Health Survey 36 (SF-36)

Uno dei più utilizzati: L’SF-36.

É un questionario sullo stato di salute molto valido e riproducibile che si distingue per la sua brevità: infatti, in media un soggetto impiega non più di 5-8 minuti per la sua compilazione. Concepito per l’auto-somministrazione, la somministrazione telefonica o quella condotta attraverso un colloquio faccia a faccia.

L’SF-36 inizialmente era stato inserito in uno studio molto più ampio, il Medical Outcome Study (MOS), con l’obiettivo di valutare l’effetto dei trattamenti medici sul benessere della popolazione in USA. Inizialmente si componeva di ben 40 item rispetto agli attuali 36. L’SF-36 è stato tradotto in molte lingue ed utilizzata in diversi Paesi con buoni risultati, tra cui l’Italia.

In questa immagine un piccolo stralcio:

sf-36

Come si compone:

36 domande che permettono di comporre 8 differenti domini:

  • AF-attività fisica: 10 domande;
  • RP-limitazioni di ruolo dovute alla salute fisica:4 domande;
  • RE-limitazioni di ruolo dovute allo stato emotivo: 3 domande;
  • BP-dolore fisico: 2 domande;
  • GH-percezione dello stato di salute generale: 5 domande;
  • VT-vitalità: 4 domande;
  • SF-attività sociali: 2 domande;
  • MH- salute mentale: 5 domande;
  • CS-Una singola domanda sul cambiamento nello stato di salute.

Tutte le domande dell’SF-36, eccetto una, si riferiscono ad un periodo di 4 settimane precedenti la compilazione del questionario. Gli item hanno una valutazione diversa: alcuni sono infatti dicotomi, altri sono valutati su scale a 3 e a 6 livelli.

In questa figura, sono presenti 2 grafici di uno studio presentato a uno dei congressi a cui abbiamo partecipato come laboratorio di ricerca. Nelle 8 scale lo stato di salute è descritto come assenza di limitazioni o di disabilità ed il massimo punteggio possibile, pari a 100, viene raggiunto quando non viene osservata alcuna limitazione o disabilità.

grafico di studio con sf-36

Se ti stai chiedendo come sviluppare i dati e costruire i grafici per le tue presentazioni, ti invito a visitare la pagina del nostro progetto UNIVERSITY LAB: abbiamo dei tools che fanno al caso tuo!

Giusto per conoscenza, devi sapere che di SF-36 ne esiste un’ulteriore forma abbreviata che è l’SF-12 che, come puoi intuire, si compone di un terzo delle domande: quindi, se necessiti di minor tempo di somministrazione, quest’ultimo potrebbe essere la valida alternativa.

È anche doveroso dire che, per la sua caratteristica di questionario generale, l’SF-36 necessita di essere affiancato da scale e questionari specifici quando si studiano popolazioni particolari di pazienti. Ecco perché il prossimo di cui ti parlo è proprio uno di questi.

Oswestry Low Back Pain Disability Questionnaire

È un questionario patologia-specifico utilizzato per la valutazione dell’indice di disabilità (ODI- Oswestry Disability Index) nelle lombalgie croniche.

Il questionario viene autocompilato ed è composto dai seguenti 10 item:

  1. Intensità del dolore;
  2. Igiene personale;
  3. Attività manuali;
  4. Camminare;
  5. Stare seduti;
  6. Capacità di stare seduti;
  7. Dormire;
  8. Vita sessuale;
  9. Vita sociale;
  10. Viaggiare.

Oswestry Low Back Pain Disability Questionnaire

Il soggetto deve scegliere, per ogni item, tra 6 risposte che vanno da un punteggio minimo di 0 ad un punteggio massimo 5, ove 5 rappresenta una maggiore disabilità.

Se consideriamo il numero di item (10), moltiplicato per il massimo numero indicabile (5), si evince subito come il punteggio massimo ottenibile sia 50 (10×5). Lo score però è anche calcolabile lasciando un dominio vuoto (punteggio massimo quindi 45). Una volta compilati gli item è possibile calcolare lo score utilizzando questa formula: somma dei valori dati ad ogni item (mettiamo caso 20) diviso per il massimo punteggio ottenibile (50) moltiplicato per 100.

  • Se tutti gli item compilati

equazione calcolo 1

  • Se 9 item compilati:

equazione calcolo 2

Interpretazione dei risultati:

  • 0-20% = Disabilità minima – il paziente riesce a far fronte alla maggior parte delle attività della vita quotidiana. Nessun trattamento è indicato. Viene raccomandata la pratica dell’esercizio fisico e vengono impartiti consigli sulla corretta gestione della colonna. 
  • 21-40% = Disabilità modesta – il paziente avverte dolore e difficoltà nel sedersi, nel sollevarsi e nella posizione eretta. Viaggi e vita sociale sono più difficoltosi e questo può influenzare anche la vita lavorativa. La cura della persona, l’attività sessuale e il dormire non sono interessati dal dolore. Il paziente può essere gestito con un trattamento conservativo. 
  • 41-60% = Disabilità severa – il dolore rimane il problema principale e molti aspetti della vita quotidiana ne sono influenzati. Questi pazienti richiedono un’indagine dettagliata. 
  • 61-80% = Disabilità grave – il mal di schiena incide su tutti gli aspetti della vita del paziente.
  • 81-100% = Disabilità completa – questi pazienti sono vincolati a letto e i loro sintomi sono evidenti. 

Questo è solo uno dei tanti questionari patologia-specifici, come ti dicevo, altri possono essere il Neck Pain Questionnarie, o lo Shoulder Pain and Disability Index etc.

Il mio consiglio spassionato è di approfondirli in base alle tue esigenze e usarli per capire meglio come possono esserti utili nella tua pratica quotidiana.

SCALE ALGOMETRICHE

Algo dal greco = dolore e Metria sempre dal greco = Misura.

Quando abbiamo parlato del SF-36 ho accennato al fatto che alcuni questionari necessitano di essere affiancati non solo a strumenti più specifici ma anche a scale di valutazione. Quando parliamo di salute, sicuramente, il sintomo che fa da padrone nelle tue valutazioni, e che tutti i clienti non vorrebbero percepire, è il dolore. 

Il dolore non è solo il sintomo di un male ma è, di per sé, già malattia.  Galeno

Ma cos’è il dolore?

Riproponendo le definizioni più accreditate in letteratura, capiremo subito che il dolore non è un sintomo facile da comprendere e, soprattutto, da misurare.

Infatti la IASP (International Association for the Study of Pain) definisce il dolore come:

un’esperienza sensoriale ed emozionale spiacevole associata a danno tissutale, in atto o potenziale, o descritta in termini di danno.

Tale definizione non è altro che una rielaborazione di quella già data da Ronald Melzack:

Il dolore è un complesso multidimensionale con numerosi componenti sensoriali, affettive, cognitive, e valutative.

Melzack, tanto per fare chiarezza è, insieme a Patrick Wall, l’autore della GATE CONTROL THEORY, meglio conosciuta come la TEORIA DEL CANCELLO, caposaldo della fisiologia del dolore.

Detto questo, però, non vorrei soffermarmi molto sulla spiegazione del dolore perché credo che, per la sua complessità, andrebbe dedicato un articolo a parte per spiegarne la genesi, le tipologie e le mappe (ti consiglio di approfondire il concetto di PAIN MATRIX).

Ma quindi, Marcello, il dolore è misurabile?

Diciamo di “Nì”, nel senso che abbiamo degli strumenti per valutare alcune “dimensioni” del dolore, come ad esempio la sua intensità soggettiva (self-report) o gli aspetti sensoriali ed emotivi ma, è opinione comune che, per la sua complessità, forse non avremo mai un parametro preciso del dolore e di come lo elabora ogni persona.

È questo il bello della scienza. La continua esplorazione, una delle definizioni che più mi piace infatti è “Scienza è ciò che non sappiamo” e, proprio per citare una dei miei autori preferiti, A.Damasio, lui afferma che:

Mi è difficile considerare i risultati scientifici come qualcosa di più che approssimazioni provvisorie, ma tale scetticismo non implica minore entusiasmo verso ogni tentativo di migliorare tali approssimazioni.

Forse sto diventando prolisso, ma questo mondo mi affascina e ne parlerei per ore. Bando alle ciance e passiamo agli strumenti utili per il mondo del lavoro.

Proprio perché si parla di dimensioni del dolore, possiamo dividere le scale algometriche in 2 gruppi:

  • Scale unidimensionali, riferite a parametri quantitativi come l’intensità;
  • Scale multidimensionali, che riflettono l’aspetto pico-emozionale del soggetto.

In questo articolo ti parlerò di quelle unidimensionali, le più usate e che si associano spesso ad altri questionari come già detto sopra. Non mancherà però un’indicazione anche sulle multidimensionali, che hanno un aspetto più simile ad un questionario.

Numeric Rating Scale for Pain (NRS)

La NRS è una scala numerica unidimensionale composta da 11 valori che vanno da un valore 0, inteso come l’assenza di dolore, ad un valore di 10, che corrisponde al peggior dolore mai provato.

L’aspetto fondamentale di questa scala sta nella sua economicità e versatilità, infatti non necessita di supporto cartaceo e può essere somministrata verbalmente anche in un’intervista telefonica. La versatilità, invece, sta nel fatto che la NRS non viene utilizzata solo per quantificare il dolore, ma in alcuni studi viene sfruttata anche per altri aspetti, come ad esempio la fatica percepita.

Numeric Rating Scale for Pain

Nello stesso studio presentato al congresso abbiamo inserito questo strumento a supporto della valutazione con SF-36 e, come puoi vedere dalla foto in basso, è stato presentato con un grafico che riportava i dati rilevati durante l’intero periodo di trattamento.

grafico studio valutazione del dolore

Anche questo tool lo trovi in UNIVERSITY LAB!

Visual Analog Scale (VAS)

La più conosciuta scala unidimensionale per il dolore è sicuramente la VAS, una scala che, come si può intuire dall’acronimo, necessità di supporto visivo: il soggetto, in concreto, esprime un valore attraverso un segno sopra di essa.

È costituita da una linea retta di 10 cm in cui sono indicati da sinistra verso destra i 2 estremi: “nessun dolore” a “massimo dolore possibile”.

Visual Analog Scale

Anche la VAS ha il vantaggio di essere economica, ma a differenza della NRS necessita di supporto cartaceo e, come puoi capire, non può essere somministrata a pazienti con deficit cognitivi o fisici.

V’è da dire che per ogni situazione, come l’età del soggetto e le condizioni in cui riversa, ci sono altre scale unidimensionali considerate più idonee. Per farti un esempio, la scala di Wong-Baker, per il fatto di essere composta da faccine intuitive, potrebbe avere una sensibilità maggiore se somministrata in ambito pediatrico.

scala di Wong-Baker

Ma le scale Multidimensionali?

Come già detto sopra, queste scale, proprio perché riflettono altre sfere del dolore, come le emozioni etc., sono più simili a dei questionari. Non mi soffermerò molto sulle multidimensionali quindi ti indicherò alcune delle più conosciute ed utilizzate in modo che tu possa approfondirle qualora lo ritenessi necessario.

McGill Pain Questionnaire (MPQ). É uno strumento complesso sviluppato alla McGill University da R.Melzack (ricordi Melzack?) che si compone di 78 descrittori del dolore, diviso in 20 sezioni e strutturato su 3 dimensioni: sensoriale, affettiva e valutativa.  Ciascuna di queste dimensioni presenta a sua volta delle sottocategorie, che indicano l’intensità attraverso aggettivi. Il soggetto esaminato, oltre a selezionare un aggettivo per ogni sottocategoria, deve individuare attraverso una scala verbale, l’intensità del dolore. 

Così facendo sarà possibile ottenere 4 punteggi che si esprimono in modo seguente: 

  • l’intensità del dolore attuale; 
  • il numero dei descrittori scelti; 
  • l’ordine della scelta; 
  • la somma dei punteggi assegnati ai descrittori scelti.

McGill Pain Questionnaire

Altre scale multidimensionali che ti consiglio di approfondire sono il Brief Pain Inventory (BPI), il Pain Behavior Observation (PBO) o ancora il PAINAD. 

Infine, merita una menzione a parte il Central Sensitization Inventory (CSI) che può aiutarti a comprendere meglio se i sintomi del soggetto esaminato siano correlati a meccanismi di sensibilizzazione centrale (CS)  –  che può essere riassunta in una eccitazione subliminale di fibre nocicettive – o sindromi da sensibilizzazione centrale (CSS). 

LEGGI, COMPRENDI E METTI IN PRATICA

Anche stavolta sei arrivato fin qui e non posso che farti i miei complimenti per la tua voglia di apprendere e rimanere aggiornato.

Io non posso far altro che aiutarti a riempire la tua cassetta degli attrezzi di strumenti, nozioni e punti di vista differenti. Approfittane per sperimentare e mettere in pratica quello che hai reputato utile e, soprattutto, plasmarlo a seconda delle tue esigenze.

Io ti aspetto qui!

Dott. Marcello Di Finizio
Note sull’autore

Ora sei pronto per il terzo step della valutazione posturale: lo trovi qui!

Bibliografia

  • Fox, J. Designing Research: Basics Of Survey Construction. Minimally Invasive Surgical Nursing, 1994;
  • V.L. Zammuner. Interviste E Questionari. Processi Psicologici E Qualità Dei Dati. Borla Editore. 1996;
  • Apolone G, Mosconi P. The Italian Sf-36 Health Survey: Translation, Validation And Norming. J Clin Epidemiol. 1998;
  • M.Difinizio, E.D’angelo, M. Amicone, M.G.Vinciguerra. Neural Mobilization Exercise For Improve Quality Of Life In Patient With Cervico-Brachial Pain. Sport Sci Health. 2018.
  • Monticone M, Baiardi P, Ferrari S, Foti C, Mugnai R, Pillastrini P, Vanti C, Zanoli G. Development Of The Italian Version Of The Oswestry Disability Index (Odi-I): A Cross-Cultural Adaptation, Reliability, And Validity Study. Spine.2009; 
  • Fairbank Jc, Pynsent Pb. The Oswestry Disability Index. Spine 2000.
  • Salaffi F, Carotti M. Clinimetria Nelle Malattie Muscolo-Scheletriche, Scale E Punteggi. Firenze, Mattioli 1885, 2007. 
  • Melzack, Ronald. The Mcgill Pain Questionnaire: Major Properties And Scoring Methods. Pain, 1975.
  • Chiarotto, Alessandro, Et Al. Cross-Cultural Adaptation And Validity Of The Italian Version Of The Central Sensitization Inventory. Musculoskeletal Science And Practice. 2018
  • Scott-Huskisson EC. Graphic Representation of pain. Pain 1976.
  • Williamson A, Hoggart B. Pain: a review of three commonly used pain rating scales. J Clin Nurs 2005.
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