Sticking Point: comprenderne la natura per capire come superarlo nell’allenamento

Data:

27/10/2021

Indice degli argomenti

L’allenamento con i pesi è fondamentale per migliorare la performance sportiva e lo stato di salute in generale.

Sia quando ci si allena con alti carichi e basse ripetizioni che, al contrario, quando il numero delle ripetizioni è alto (in base allo sport e al momento della periodizzazione in cui ci si trova) e ci si avvicina al cedimento muscolare, ci si imbatte per forza di cose in quello che è definito “sticking point” o punto critico dell’alzata.

E’ da molti definito come il “collo di bottiglia” della prestazione e, di fatto, aumenta la possibilità di fallire l’esercizio ed il rischio di infortunio.

Ma entriamo subito nel dettaglio e capiamo meglio cosa è lo “sticking point”.

Cos’è lo Sticking Point?

In termini molto semplici, lo Sticking Point si riferisce a quell’angolo articolare in cui l’esercizio diventa improvvisamente molto difficile da eseguire ad un determinato angolo di lavoro e si ha la sensazione reale che il carico aumenti drasticamente.

Molti ricercatori hanno concentrato la loro attenzione sulla velocità del carico spostato.

Hales et al. Mc Guigan e Wilson, ad esempio, hanno definito lo sticking point come: “il punto nell’intervallo di moto durante un esercizio in cui la velocità verso l’alto del carico diminuisce o raggiunge lo zero”.

Nonostante la sua facile interpretazione, questa definizione è stata successivamente considerata imprecisa. In particolare, quando si fa riferimento alla velocità di esecuzione dell’esercizio, non viene specificato se il punto critico corrisponde all’inizio della diminuzione della velocità oppure quando quest’ultima raggiunge il suo minimo.

Anche la descrizione lasciata da van den Tillaar et al. e Escamilla et al. non può esser definita accurata. Essi esaminano solamente la regione all’interno del range di movimento in cui al picco di velocità segue un calo della stessa, zona indentificata appunto come lo sticking point dell’alzata. Non si tiene in considerazione, in questo caso, che la perdita di velocità  dopo il “peak velocity” varia da ripetizione a ripetizione con l’accumularsi della fatica durante tutta la serie.

sticking point dell'alzata

L’NSCA, invece, si concentra maggiormente sull’aspetto forza, cioè la differenza tra la forza effettiva esercitata contro il carico dal sollevatore e il peso sul bilanciere, definendo lo “sticking point” come: il punto più debole nel range di movimento di un esercizio nel quale probabilmente la resistenza esterna (carico da sollevare) ha il maggiore vantaggio meccanico.

Nonostante i vari studi che hanno indagato sul concetto di “sticking point”, non sembra si possa arrivare ad una conclusione unica, in quanto ci sono numerosi aspetti da tenere in considerazione che possono influenzare l’esecuzione di un esercizio durante gli allenamenti.

Nello specifico bisogna valutare vari aspetti:

  • la sezione trasversa del muscolo è un fattore importante di espressione di forza;
  • le relazioni forza-lunghezza.

Sappiamo che l’espressione di forza da parte di un muscolo varia in base alla sua lunghezza. Ciò significa che l’espressione di forza che si riesce ad esprimere varia durante tutto l’esercizio.

Inoltre, è importante ricordare che la contrazione muscolare è data da due componenti: la componente attiva, costituita dai ponti actino-miosinici, e la componente passiva (tendini, aponeurosi, epimisio, perimisio, endomisio) la quale durante una contrazione muscolare, contribuisce a creare tensione.

Quindi la contrazione è data dalla somma di attivazione delle componenti attive e passive (foto in basso).

relazione forza-lunghezza

Relazione forza-velocità

L’espressione di forza ottimale dipende, oltre che dalla lunghezza del muscolo, anche dalla velocità di contrazione. L’espressione di forza è massima con contrazioni eccentriche massime, diminuisce durante contrazioni isometriche e risulta minima con contrazioni concentriche.

relazione forza-velocità

La fatica

La fatica è un processo multifattoriale che coinvolge fattori sia centrali che periferici: lo stimolo che parte dal SNC ed arriva ai motoneuroni, accoppiamento eccitazione-contrazione, disponibilità di substrati energetici.

E’ un parametro quindi che deve esser tenuto in considerazione durante ogni sessione di allenamento.

Le unità motorie reclutate

L’aspetto neurale è fondamentale per quanto riguarda l’espressione di forza muscolare. La frequenza di scarica e il numero di unità motorie attivate determinano la forza di contrazione del muscolo. Con uno stimolo a bassa intensità, sappiamo che vengono attivate solo un numero limitato di fibre muscolari.

Con l’aumentare dell’intensità dello stimolo aumenta anche il numero di fibre muscolari attivate e, almeno nella maggior parte dei casi, all’85% della massima contrazione volontaria vengono reclutate la maggior parte delle unità motorie.

Tipo di fibra muscolare

Il reclutamento muscolare è un tassello fondamentale da tenere in considerazione durante gli allenamenti. Ciò ovviamente varia in base al tipo di carico somministrato.

Sappiamo, secondo il principio di Henneman che, quando i carichi sono abbastanza leggeri, le prime unità motorie reclutate sono quelle di tipo I e, man mano che lo sforzo aumenta, le fibre di tipo II la fanno da padrona.

Ovviamente, con l’aumentare dell’intensità del carico, le fibre a contrazione rapida saranno quelle maggiormente coinvolte.

Fattori biomeccanici che influenzano il tasso di sviluppo di forza

Ogni coach deve tenere in considerazione l’atleta che sta allenando, in questo caso non deve sottovalutare le leve biomeccaniche che variano da soggetto a soggetto e che sono correlate con l’esercizio proposto.

Un secondo concetto importante è il modo in cui un esercizio viene eseguito: modificando infatti il posizionamento del carico (low bar back squat vs high bar back squat) oppure modificando la posizione del corpo (deadlift regular vs sumo deadlift) vengono modificate le leve e quindi il contributo dei gruppi muscolari coinvolti in quel determinato esercizio.

Come abbiamo visto, quindi, la valutazione dello “sticking point” deve tener conto di vari aspetti i quali possono essere concatenati tra loro. La ricerca in tal senso è ancora molto limitata.

Gli esercizi maggiormente studiati sono i fondamentali che derivano dal powerlifting: Back Squat, Deadlift e Bench Press.

Vediamoli nel dettaglio!

Lo Sticking Point nello Squat

Lo squat, dato il suo transfert positivo sulla maggior parte degli sport, è forse l’esercizio più utilizzato nel campo della forza e nel condizionamento sport specifico. Tralasciando le variazioni biomeccaniche (front squat, spanish squat, sumo squat…), esso lavora principalmente sul potenziamento degli arti inferiori, oltre ad attivare i muscoli stabilizzatori del tronco.

Lo squat è un esercizio molto complesso, sia in termini di spesa neuromuscolare che in termini biomeccanici. Soprattutto durante la fase concentrica, infatti, c’è una forte attività sia di gruppi muscolari agonisti che antagonisti, oltre al contributo della muscolatura del tronco che ha la funzione di stabilizzare sia la fase ascendente che discendente.

Proprio per la sua valenza, lo sticking point è stato oggetto di studio da parte di molti ricercatori.

In particolare McLaughlin et al. hanno analizzato la cinematica dello squat su atleti powerlifters professionisti, constatando che il punto critico si manifestava ad un angolo di circa 30° tra pavimento e coscia.

Questi risultati sono stati confermati anche da Hales et al. che però hanno analizzato anche la posizione di altri segmenti corporei, in particolare gli angoli tra tronco/suolo e tibia/suolo.  I risultati hanno evidenziato differenze di angoli articolari tra diversi sollevatori che variano rispettivamente di  ±6.3° e ±7.5°, ciò sta a significare le differenze tra diversi atleti in termini di leve articolari, stile di squat adottato e quindi anche punto in cui si verifica lo sticking point.

Un’analisi approfondita è stata effettuata da Escamilla et al., che hanno esaminato tre gruppi secondo la larghezza della base d’appoggio rispetto alle spalle (stretta, media, larga). Sorprendentemente gli autori dello studio hanno trovato maggiori differenze all’interno dei gruppi rispetto ai tre gruppi di lavoro (circa ±2°).

Avendo utilizzato anche in questo studio un campione di atleti professionisti, un’ipotesi di tale differenza potrebbe derivare dalle differenze di leve tra i vari atleti, anche se gli autori dello studio non hanno fornito nessuna motivazione.

Da tenere in considerazione anche lo studio di Van Den Tillar et al., all’interno del quale è stata esaminata l’attività EMG durante lo squat. Durante la fase concentrica, in particolare, sono state registrate diminuzioni significative di attività contrattile da parte di retto femorale e vasto laterale, al contrario del bicipite femorale il quale ha mostrato un lieve e costante aumento. L’unico muscolo che a livello dello sticking point ha mostrato un discreto aumento della propria attività è stato il vasto mediale.

Nonostante questa analisi, le statistiche riportano i risultati di questo studio come casuali e non come un modello comune. In aggiunta, le variazioni biomeccaniche, la tecnica dell’esercizio e il livello di forza contribuiscono notevolmente alla diversa attivazione dei vari gruppi muscolari durante tutto l’arco di movimento.

Lo Sticking Point nel Deadlift

Lo stacco da terra, insieme allo squat, è l’esercizio che più di tutti migliora la forza degli arti inferiori.

È uno dei tre esercizi fondamentali nella pratica del powerlifting, molto utilizzato nella pratica sportiva per migliorare la forza generale e in ottica bodybuilding per migliorare l’ipertrofia di gambe e schiena.

Rispolverando brevemente la biomeccanica del movimento, rispetto allo squat, l’esercizio ha un maggior focus sulla estensione dell’anca, attraverso l’attivazione principalmente del grande gluteo e dagli ischiocrurali, mentre l’estensione del ginocchio, meno enfatizzata, è favorita attraverso l’attività di tutta la muscolatura anteriore della coscia, vasto laterale, vasto mediale, vasto intermedio e retto femorale.

Non meno importante è l’attivazione della muscolatura della schiena, erettori spinali e gran dorsale in particolar modo.

Una seconda differenza rispetto allo squat è che la fase concentrica nello stacco non è preceduta dalla discesa ma parte direttamente da un punto “morto”, cioè dal pavimento.

Anche per quanto riguarda il numero di variazioni, l’esercizio dello stacco sostanzialmente viene eseguito attraverso una metodica più convenzionale, con una posizione delle gambe poste ad un’ampiezza simile alla larghezza delle spalle e piedi lievemente extraruotati (10°-15°), e la versione sumo con le gambe poste più larghe rispetto alle spalle ed una extrarotazione dei piedi più netta (40°-45° mediamente).

Per quanto riguarda lo studio sullo sticking point nello stacco da terra, la ricerca è ancor più limitata.

Come nel caso dello squat, non è stato trovato un punto critico “universale”, ma i ricercatori hanno, anche in questo caso, analizzato come ci siano più elementi da considerare che variano da soggetto a soggetto, una su tutte le differenze di leve.

Uno studio recente effettuato da Beckham et al. nel 2012 ha esaminato la forza isometrica in tre posizioni diverse dello stacco in atleti d’elite.

I dati hanno evidenziato che la posizione di partenza (bilanciere a terra) era la più debole, con un picco medio di forza di circa 3400 N, seguita dalla posizione in cui la barra è a livello delle ginocchia, 4100N, e dalla posizione di lockout, con un picco medio di forza di 4900N. La posizione con il più alto picco medio di forza trovata è quella con la barra che si trova a metà coscia (5800 N), cioè a circa il 70% della posizione completa partendo da terra.

Effettuando delle analisi cinematiche, Mc Guinan e Wilson hanno visto come lo sticking point, nello stacco da terra, non corrisponda alla posizione più debole analizzata da Beckham e colleghi. In secondo luogo, hanno sottolineato come il punto critico sia dovuto da una somma di più fattori, biomeccanici  e fisiologici che influenzano la capacità del muscolo di produrre forza, come introdotto all’inizio dell’articolo.

Lo Sticking Point nel Bench Press

La panca piana è uno degli esercizi principali utilizzati per la forza ed il condizionamento, nonché anche per scopi ipertrofici, della parte superiore del corpo.

L’azione più importante che avviene durante l’esecuzione della panca piana è quella, durante la fase concentrica, dell’adduzione dell’omero, movimento espresso per la maggiore dal gran pettorale ed in percentuali inferiori dal deltoide anteriore prima, e, secondo alcuni autori, dal bicipite brachiale poi. Secondo questi autori, infatti, il tricipite brachiale è attivo durante la fase di spinta, non tanto contribuendo all’adduzione del braccio ma, vista la natura dell’esercizio a catena cinetica chiusa, più che altro svolgendo l’estensione del gomito.

Vista la sua popolarità, la panca piana sembra essere, per quanto riguarda lo studio dello sticking point, l’esercizio che più di tutti ha ricevuto interesse in ambito di ricerca scientifica.

Le prime analisi sono state condotte da Wilson et al. e da Elliott et. al, attraverso un modesto campione di powerlifter d’élite. Gli autori hanno dichiarato che, con carichi alti (80%), il punto critico per la panca piana si trovava all’inizio dell’alzata, in media a circa il 30% rispetto al punto di spinta inziale.

Una particolarità registrata da Wilson et al è che, mentre nella maggior parte degli atleti testati lo sticking point si trovava appunto ad una media del 30% circa dal petto, in altri professionisti non è stato registrato nessun punto critico. Ciò, ha portato gli autori a concludere che, in questi soggetti, lo sticking point potrebbe essere raggiunto in qualsiasi punto dell’alzata.

Uno studio successivo svolto da  Wagner et al., ha valutato le differenze del raggiungimento dello sticking point in base al tipo di impugnatura: con una impugnatura media lo sticking point si verificava ad una altezza maggiore rispetto all’asse verticale della spalla ed aveva una percentuale di durata inferiore (11,4%) rispetto ad una presa più stretta (17,3%) oppure rispetto ad una presa larga (22,5%).

Queste differenze potrebbero derivare innanzitutto dai muscoli maggiormente attivati in base all’ampiezza dell’impugnatura ma anche, ancor più soggettivo, dalla lunghezza delle leve che differisce da soggetto a soggetto.

C’è da precisare che i risultati contrastanti tra gli studi di Wilson e Wagner sono dovuti sostanzialmente al fatto che, mentre nel primo studio gli autori hanno lasciato libertà di scegliere la presa a cui si era abituati, nel secondo studio è stata imposta un’impugnatura standard per tutti. Per questo motivo, gli atleti d’élite sono stati sicuramente influenzati negativamente.

Strategie di allenamento per superare lo Sticking Point

Come abbiamo visto fin ora, lo sticking point è una condizione multifattoriale, per questo può rappresentare uno scoglio importante per un atleta e per ogni Preparatore fisico.

Sono state individuate quattro possibili strategie di allenamento per limitare il verificarsi dello sticking point durante i lavori di forza.

Vediamoli insieme!

Lavoro di isolamento su muscoli target

Molti studi hanno esaminato proprio il punto in cui si verifica lo sticking point durante l’alzata di un determinato esercizio. Preziose informazioni possono essere ricavate per migliorare la performance.

Considerando il contesto biomeccanico e quindi il gruppo di muscoli che contribuisce all’esecuzione dell’esercizio, è possibile in molti casi risalire al muscolo considerato “l’anello debole”. A tal proposito, lavorare con esercizi accessori di isolamento volti a rinforzare tale muscolo può risultare una strategia di successo per vincere il punto critico e quindi nella pratica a “chiudere” l’alzata.

Un esempio può esser quello di lavorare sugli estensori del gomito se l’anello debole è il tricipite brachiale, soprattutto se lo sticking point si trova alla fine della spinta per quanto riguarda la bench press.

Ripetizioni a ROM parziale e lavori isometrici

Numerosi studi confermano i vantaggi che lavori a range di movimento ridotti o lavori isometrici apportano sul miglioramento della forza e sul superamento del punto critico.

Ad esempio, il pin squat sembra essere un ottimo lavoro per migliorare la spinta degli arti inferiori ad un angolo di lavoro da parte delle ginocchia che pare esser il più svantaggioso durante l’esercizio di squat. Così come può risultare utile eseguire una “Board press” per migliorare l’esecuzione della panca piana.

Alcuni Strength Coach sconsigliano di posizionare i blocchi nel punto esatto del massimo angolo svantaggioso, ma partire da qualche centimetro più in basso per avere una minima accelerazione favorevole.

Allo stesso modo, grande attenzione hanno ricevuto anche ripetizioni isometriche che lavorano a percentuali superiori rispetto all’1RM. E’ ormai affermato che le tenute isometriche mantenute per pochi secondi migliorino notevolmente la forza in quel determinato ROM specifico, ciò può risultare una strategia vincente per superare il punto critico in un determinato esercizio e, in termini sportivi, può significare aumentare la performance.

sticking point bench press

Lo Slancio

Un ulteriore approccio per cercare di superare il punto critico viene definito “speed work training” il quale, a mio avviso, ha molte similitudini con il metodo “Dynamic Effort” delineato da Zatsiorsky.

Nello specifico, il lavoro consiste nello svolgimento di serie ripetute a bassa intensità (50-60% of 1RM), intervallate da brevi periodi di recupero (45-60”) ed eseguite alla massima velocità volontaria.

Differente e poco utilizzato invece è l’approccio opposto, ossia aumentando il carico esterno.

Quando aumentato in maniera moderata, gli esperti hanno comunque trovato dei benefici in quanto i muscoli target lavoravano sempre in maniera efficiente, nonostante il minor numero di ripetizioni, ma a favore di un tempo sotto tensione superiore.

Personalmente, in questo caso, consiglierei di abbassare il numero di ripetizioni in modo da mantenere comunque un buffer di 1-2 per gli atleti più esperti, e un buffer di 3-4 per i novizi.

Un carico esterno aumentato in maniera eccessiva può risultare invece troppo rischioso, in quanto il compenso di muscoli differenti da quelli bersaglio e una probabile alterazione della tecnica di esecuzione possono portare all’insorgenza di infortuni.

Resistenza Accomodante e variabile

Con questo termine si fa riferimento a modifiche intenzionali del carico sollevato durante le ripetizioni, attraverso l’utilizzo di elastici o catene che, posizionate tra il bilanciere ed il terreno, hanno lo scopo proprio di aumentare la resistenza nei gradi finali del movimento.

In ottica Strength&Conditioning, l’uso di bande elastiche o catene viene sfruttato per cercare di migliorare il Rate of Force Development, cioè la velocità con cui un atleta può sviluppare forza. Una più rapida espressione di forza significa per un atleta avere prestazioni più alte in tutti gli sport che richiedono salti, sprint, ma anche nel ciclismo o ad esempio durante uno swing nel golf.

sticking point squat

Considerazioni finali

Come abbiamo visto, il fenomeno dello Sticking Point può rappresentare un vincolo per l’atleta e, quindi, un limite al raggiungimento della più alta prestazione in gara.

Può non risultare semplice capire subito le origini del punto critico, soprattutto quando ci troviamo ad allenare atleti professionisti con un background motorio vasto. Tuttavia, le strategie citate prima possono aiutare ogni Personal Trainer e Strength Coach a pianificare un allenamento che vada ad eliminare questi limiti.

Inoltre analizzare, testare e comunicare con il proprio atleta sono ulteriori armi da dover sfruttare per raggiungere i risultati prefissati.

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Dott. Federico Giancola

Note sull’autore

Laurea Magistrale in Scienze delle Attività Motorie Preventive e Adattate
Certificazione Personal Training for Health – Training Lab Italia
Certificazione Strength & Conditioning for Sports – Training Lab Italia
Certificazione Functional & Postural Recovery – Training Lab Italia
Certificazione Workshop Kettlebell Conditioning & Training – Training Lab Italia

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